Il cinismo e la disillusione più nera, l'incazzatura di un'adolescenza che fatica a diventare post, la rabbia intrappolata che vuole uscire. E i tappi, le chiusure, tutte quelle situazioni e circostanze che tengono bloccata una persona e che hanno diversi nomi, ma un solo risultato finale: una compressione eccessiva, che prima o poi porta a un'esplosione.
Questo, in estrema sintesi, quello che contiene “La consuetudine del sentito dire”, disco d’esordio dei veneti Nu Bohemièn. Un’irrequietezza interiore che viene declinata nei tratti di una musica di chiaro stampo new wave, ma che a tratti si mette a metà strada tra Tre Allegri Ragazzi Morti e Zen Circus. Dei primi prende il gusto per la ballatona, dei secondi lo spirito vagamente busker e una fiducia pressoché nulla nel genere umano (oltre a prendere in prestito la chitarra di Appino in un pezzo). Quando questi incroci funzionano, si arriva a pezzi validissimi, come “Non preoccuparti bambina”, efficace sotto ogni punto di vista - dalle musiche ai testi - e senza dubbio miglior passaggio del disco. O come “La provincia”, descrizione amara della vita di paese, che parte ricordando “Love will tear us apart” e arriva a un ritornello praticamente perfetto, nella sua semplicità volutamente eccessiva.
Non tutto gira alla perfezione, però. Quella compressione e chiusura forzata, di cui parlavo prima, la si sente non solo a livello di atmosfera, ma anche di prodotto finale: c’è una gran voglia di suonare e raccontare, ma spesso quello che esce non sembra pensato ed elaborato a sufficienza. Sputato fuori, con tutte le ingenuità del caso. Come in “Vendere i soldi”, altro brano che funzionerebbe pure, non fosse per un bisogno di descrivere nel minimo dettaglio situazioni da neorealismo, che stridono con l’attitudine generale e finiscono per appesantire la canzone.
Peccati d’inesperienza? Si spera. Perché, insieme, si spera che dei Nu Bohemièn si senta parlare ancora e tanto. Di cose da dire ne hanno, con pochi aggiustamenti potrebbero diventare una voce diretta e potente. Da ascoltare, insomma.
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