Non scherzo, potrebbero diventare il mio gruppo preferito. Se non altro perché ciclicamente ti torna la voglia di mettere sul piatto un disco a caso degli Hellacopters, o "Psychotic Reaction" dei Count Five, quelle robe talmente grezze dove capisci che, a volte, il bisogno di sputare fuori dal corpo certe cose è molto più importante del come lo fai. Robe che quando le ascolti gli Stones di punto in bianco ti sembrano dei fighetti. Con i Red Touch siamo in quella zona lì, tre musicisti sicuramente non perfetti, e sicuramente gli interesserà poco esserlo, che tirano dritti senza preoccuparsi della pronuncia inglese e di qualche passaggio più traballante; tanto basta pestare tutti e tre convinti e il pezzo si raddrizza da solo. Ascoltate l'ultima, "Falling Down", una ballatona simil romantica cantata malissimo, se sentiste solo quella come minimo li predereste in giro. Invece spiega come gliene freghi così poco di tutto, ci stava il pezzo romantico? L'hanno messo. Sarà sempre e comunque più genuino di quelli che fanno il rock 'n' roll a metronomo.
I restanti pezzi sono dei calci nei denti. I tre sanno suonare: prendete l'inizio di "Black and Blue" quando il basso resta nudo sulla batteria, alzate il volume e capite come il pezzo non perda un minimo di potenza, poi arriva la chitarra e si sguazza nello stoner più sporco.
Più in generale, i tre funzionano bene quando riescono a innestare dei giri vorticosi e ciclici, come se si incazzassero sempre di più, autoalimentando una tensione che continua e continua, imperterrita come un il solito treno in corsa; prendete anche, ad esempio, l'assolo di organo in "The Crab". Apprezzo anche il limitare al mimimo la psichedelia, più che rischiosa, solitamente in questi casi la si usa come tappabuchi quando non si hanno idee. Aggiungete che sono giovani, 27, 20 e 21. Io ho già bisogno di un nuovo album, questo l'ho consumato.
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