"Magnetic Knife Strip" è un vero e proprio mezzo di locomozione verso luoghi lontani
In periodi come questi vuoi solo andare via, in posti lontani, verso mete sconosciute. Esplorate o inesplorate poco importa, l’importante è il viaggio e tutto ciò di cui ci si circonda durante. Persone o semplicemente facce di passanti, odori, sapori, e suoni diventano parte di te e ti cambiano ad ogni passo, ad ogni chilometro ad ogni confine attraversato.
Tantissimi suoni, che riecheggeranno per sempre e rievocheranno alla mente tutti quei momenti anche a distanza di anni; quando si sarà curvi su di una scrivania attendendo la pensione o la morte e ricordando i vent’anni, a quando non si è sprecato neanche un attimo e si è dato estro ad ogni voglia di provare e sperimentare, a quei suoni che si custodiscono gelosamente nella mente e si fanno propri.
I Pashmak, già nome proveniente da terre lontane, accompagnano in questo trip sonoro e mentale con una facilità estrema; donando un album di debutto unico, perché "Magnetic Knife Strip" è un vero e proprio mezzo di locomozione verso luoghi lontani. Si parte da “Africa”, con sonorità di violini e percussioni mediorientali che preparano l’orecchio ad un’inaspettata lettura tratta da “Anatomia dell’irrequietezza” di Bruce Chatwin, e si arriva a “New York”, lasciando spazio a suoni più elettrici e meno acustico-folkeggianti; aprendo questa contaminazione sonora a un pianoforte insistente e cadenzato che lascia sfogo a una melodia propriamente anni ’90 e a tratti anche grunge.
La contaminazione sonora prosegue e si estende tra le tracce, arrivando a “Snowire”. Arpeggi e bassi ti lasciano ondeggiare finché voce e chitarre strazianti trafiggono il rilassamento onirico e ricatapultano alla realtà con un sound post-rock che aggredisce e accompagna all’ultimo viaggio (“Last Trip”), una chiusura eccellente e quasi ad anello, che richiama le sonorità lontane da cui si è partiti; salpando su di un galeone di pirati per terre sconosciute, ondeggiando al suono di cupi violini e alzando i boccali al cielo.
Ritornando al mondo reale, si arriva alla conclusione che i Pashmak hanno compiuto un bel lavoro. Un album con il quale non ci si annoia, con cui si gioca a trovare assonanze e influenze, ma che è dotato di un sound assolutamente personale e frutto di una creatività notevole. La ricerca di sonorità differenti dispiegate durante l’ascolto dell’album può essere assimilabile ai Noir Desir di “Des visage des figures”, e al Vinicio Capossela di “Camera a Sud”. Lavori visionari e viaggiatori, pregni di ecletticità e creatività nel’accostare sonorità e strumenti insoliti, a cui "Magnetic Knife Strip" vuole somigliare, progettando le fondamenta per riuscirci alla grande.
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La recensione Magnetic Knife Strip di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-06-28 00:00:00
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