Una serie di live più che convincenti, l’annuncio che la cabina di regia, durante le registrazioni, sarebbe stata occupata da ‘Sua Grazia Ricevuta’ Giorgio Canali ed un nome (bruttino a dire il vero) che comincia a bazzicare l’underground del nord Italia.
Ed ecco al varco i Puntog, arricchiti da poco del suffisso ‘Blu’- gentilmente donatogli da alcune magagne legali, e di un enigmatico “5 gradi di escursione” a titolare un esordio che sta suscitando crescenti attese.
Inevitabile prevedere che i paragoni con i Verdena si sprecheranno: Giorgio Canali alla produzione, per l’appunto, che in questo caso però dilata e rende stranianti le atmosfere (forse troppo in alcuni punti), i luoghi di provenienza ad un tiro di schioppo tra loro (è proprio il caso di dirlo, visto che si tratta di Bergamo e Brescia) ed una comune attitudine di guitar-band. È anche inevitabile però, e doveroso, sottolineare che le differenze superano di gran lunga le analogie (che qui si fermano), perché “5 gradi di escursione” ha poco a che fare con ciò che i tre bergamaschi hanno fin qui prodotto.
Le sonorità, per cominciare, si allontanano dall’asse Nirvana/Motorpsycho per andare a visitare territori più vicini a Radiohead, Blur, Placebo e Pavement, l’irruenza delle chitarre (in grado comunque di essere graffianti) diviene qui più fluida e talvolta addirittura eterea (“La polvere di Marte”), mentre le melodie, raffinate ed accattivanti, non si vergognano affatto di strizzare un occhio alla leggerezza del pop (“Blu”, “Umanoide”) e l’altro all’indie anglosassone (“Allergia”, “Facilmente”, “Estate squallida”).
Ed è così che gli occhi si chiudono e nasce “Aprile”, una perla che di primaverile ha ben poco, livida ballata che si schiude in un travolgente climax sonoro e vocale e va a collocarsi vicina agli episodi migliori dei Radiohead di “The Bends”.
Certo, l’ingenuità è ancora palpabile, qua e là, ma sa di fresco e naif, soprattutto considerando che in essa si nasconde (nemmeno troppo) il germe di un’evoluzione già cominciata. Nel complesso i Puntogblu si dimostrano capaci di una scrittura rock sofisticata (“In etere”), non macchinosa e mai banale, corredata di testi che, tra amori fastidiosi, estati squallide, imbianchini sballati e spazi siderali danno l’idea di non volersi ridurre a puro suono fatto di monosillabi sconnessi.
Attese ampiamente ripagate, dunque, da un cd che si lascia bere d’un fiato e chiede di essere gustato ancora e ancora e, per il quale, non è arduo scommettere in un futuro radioso.
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