Trainspotting, D'annunzio, Jimi Hendrix, Oscar Wilde, chitarre inglesi, elettronica italiana, nostalgia ed energia.
Conosco un po' di persone con il culto degli anni sessanta, e generalmente si tratta di trentenni coi reumatismi che passano il tempo a biascicare anatemi contro gli e-book, gli mp3 e i gruppi moderni tipo i Clash. Mi rincuora quindi scoprire che in giro c'è anche qualcuno che sì, adora il '69 e pensa che sia stato “un anno così meraviglioso, cambiava il senso delle cose, profumo di libertà” eccetera, e che però non considera morte e distruzione tutto ciò che è stato dopo. “Adoro il '69”, la canzone in questione, è un inno alla storica annata (ma anche un po' al 69 in quell'altro senso) con citazione della “Star Spangled Banner” hendrixiana e ritornello dall'impronta italo-beat, ma non è tutto qui il mondo dei Rosso Dalmata.
Nel mondo dei Rosso Dalmata esistono anche il britpop elettrico e danzereccio e l'elettronica d'autore, ed esiste il disagio molto contemporaneo del “sentirsi speciali sotto narcotico” (qui potrei dilungarmi, ma non intendo farlo, sulle polemiche “è un inno alla droga, non si fa non si fa, in ginocchio sui ceci e venti avemarie” “ma no che non è un inno alla droga, è una fotografia della realtà e blabla”. Noia. Non sarebbe meglio rispondere “Sì, è un invito alla tossicodipendenza, Mina è la fidanzata di Charlie e fanno le cose zozze sui crocifissi strafatti di mdma, è il rock'n'roll baby, a proposito di 1969, siamo nel 2012 e stiamo qua a parlare della droga nelle canzoni?”. Scusate, mi sono dilungata), e il disagio estetico del vedersi circondati da dandy da quattro soldi su cui D'annunzio ci scatarrerebbe su, un disagio giovane ma non giovanilistico che si esprime in musiche e testi più acuti di quello che sembra all'ascolto disattento.
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La recensione rosso dalmata di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-08-31 00:00:00
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