In Italia siamo maestri a risolvere controversie e divergenze a tarallucci e vino, è cosa nota. Perciò non di rado capita, anche in musica, che qualche progetto cerchi di abbattere degli steccati, come in questo secondo album dei veneti Glincolti. Tredici strumentali che partono dal prog della scuola di Canterbury e lo ibridano col groove della blaxploitation, prendono in prestito i fiati di "The Grand Wazoo" e li infilano in incisi bluegrass.
La presenza di Enrico Gabrielli come special guest è un indizio dell'ecletticità delle composizioni degli Incolti, e non deve trarre in inganno: i nostri non hanno in mente una filologia musicale tout-court, alla Calibro 35. Piuttosto fa da motore la voglia di divertirsi e divertire di quattro musicisti coi controfiocchi, che oltre alle tastiere dei loro strumenti conoscono benissimo la storia del rock.
E così si avvicendano echi dei Perigeo ("Spettinati") a quelli dei Caravan ("Perdiamo colpi"), il gusto inconfondibilmente zappiano per la tradizione reinventata col sorriso sulle labbra ("Cavalli di razza" e "Condotta Zero") ai brani più propriamente di rivisitazione - per quanto ragionata - come "Sud America" e "Hutchinson". tra gli episodi più trascinanti del disco. Che è pervaso nella sua interezza da un certo intento consolatorio, volto all'unione piuttosto che alla separazione dei vari generi, soprattutto all'interno dello stesso pezzo.
Operazione non certo semplice comunque, anche per dei musicisti di qualità come Glincolti il rischio smarmellamento ("Boris" docet) o accostamenti-a-cazzo era dietro l'angolo. Non è andata così, per fortuna, e se anche i taralli ci sono, e in quantità, sono di quelli impastati a mano, alla vecchia maniera. E per quanto riguarda il vino... scegliete pure con comodo, nella cantina de Glincolti ci sono bottiglie da intenditori.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.