Si fanno chiamare Il Marchese e bazzicano le scene da circa 7 anni. Leggo in giro per la rete le loro note biografiche e scopro anche che la band è stata protagonista di alcuni live in apertura di Afterhours, Verdena, Tre Allegri Ragazzi Morti, Marlene Kuntz, Punkreas, Il Teatro degli Orrori, The Fire e, finanche, Piero Pelù. In effetti, ascoltando questo "Carnivoro", è abbastanza facile - anzi, direi fin troppo facile... - collocare questo quartetto milanese nell'area del rock italiano più classico.
All'epoca del loro esordio ufficiale (escludendo quindi il demo del 2006), Salvatore Sannino centrò perfettamente il bersaglio, scrivendo che "[...] il disco è davvero ben suonato ed è registrato ottimamente, ma all'ascolto risulta davvero tedioso". E purtroppo queste 9 tracce non sfuggono a quella definizione, ricadendo nuovamente negli stessi clichè, quasi che 3 anni siano passati invano e non ci sia stata alcuna evoluzione.
Anche stavolta il sound si mantiene compatto e graffiante - addiritura fra i più convincenti ascoltati nell'ultimo periodo - come si addice ad una band che viaggia sulle coordinate dello stoner; ma se da una parte è apprezzabile il tentativo, visto il genere, di optare per l'italiano, dall'altra le liriche sono davvero poca cosa, perché lo sforzo creativo su quel versante è ai limiti del minimo sindacale. Ci fosse almeno un tentativo poetico sulla scia dei Verdena, ovvero lontano da tutti gli schemi che possano rimandare al modello italiota; e invece il vocalist pare quasi scimmiottare Pau dei Negrita. D'altronde quando metti in musica versi come "Where is the toilet, che mi devo ripigliare / Where is the toilet, scusa mi ci puoi accompagnare / ma amore mio, chiedimi il detonatore / abbiamo così poche cose in comune che ti lascerò l'onore" oppure "Sento odore di lavanda e viole dove normalmente profumo non c'è / e non è proprio merda che intorno è merda piena di Chanel" non rimane molta scelta a chi dovrà raccontare al lettore le immagini che scaturiscono ascoltando queste canzoni.
Insomma, i testi sembrano davvero fermarsi ad un livello di elaborazione creativo che fatica a raggiungere la mediocrità. Il Marchese finisce così per essere l'ennesima band musicalmente in gambissima ma per niente avvezza a ragionare dal punto di vista della poetica. Se servisse uno spunto di riflessione per il futuro, qui ce n'è uno grosso come un macigno.
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