"Probably there are things that, as humans, we are not able to comprehend. […] There are things that just happen and we're nothing but victims of the events. One can ask himself why, but in the end, who cares?"
Questa la sentenza finale di "Road to Nowhere", esordio dei senesi Black Rain Theory, concept album incentrato sulla figura di Dorian Caspargy, un giovane in cura presso il dottor Connelly per un problema di insonnia cronica. Sei brani incorniciati da un prologo e un epilogo nei quali prende la parola il terapeuta, recitando estratti di un diario - in parte consultabile in traduzione italiana sul sito della band - che segue l'evoluzione clinica del paziente, accompagnato da tastiere dai risvolti horror e dal martellare incessante dei tasti di una macchina da scrivere.
In bilico tra illusione e realtà, Dorian si ritrova intrappolato in una sorta di sonno insonne, incapace di raggiungere la fase REM eppure tormentato da incubi. Percezioni in principio confuse, ma che notte dopo notte assumono i contorni sempre più nitidi di un sogno ricorrente, in cui si vengono a riconoscere luoghi realmente esistenti e la presenza di Mathilda, una bambina scomparsa anni prima e il cui caso non era mai stato risolto. Riscontri che tuttavia non troveranno una spiegazione, e rimarranno confinati tra gli eventi che trascendono la comprensione umana. Spunto narrativo interessante e ben costruito, che ci restituisce un lavoro coerente e compatto, sia nella struttura che nelle tematiche. I sei brani centrali del disco incarnano il punto di vista di Dorian, con testi in prima persona in un inglese inappuntabile che seguono l'evoluzione della vicenda, da visioni appannate a ricordi sempre più definiti, sebbene destinati a rimanere senza risposta.
Musicalmente si tratta di un lavoro catalogabile all'interno di un certo gothic metal radiofonico, arricchito da innesti elettronici. Una sola chitarra, suoni puliti e precisi, ben sostenuti dalla voce sinuosa e potente di Camilla Lombardi. Un genere che inevitabilmente richiama alla mente gruppi come gli Evanescence (il duetto con controcanti maschili in "All the things you fear" sembra plasmato sulla più nota "Bring me to life") ma che non disdegna un certo incedere alla Skunk Anansie. I Black Rain Theory si muovono fluidi su binari per lo più vorticosi, come la suggestiva "The Garden" o la tentacolare "Gates of Hell", regalando anche momenti di intimità, su tutti "Fragile", un vibrante duetto tastiera e voce. Idee non troppo innovative, ma portate avanti con cognizione e abilità, ed eseguite da musicisti competenti, pur con una certa carenza a livello di originalità e pathos esecutivo. Virtuosi, se è vero che la virtù sta nel mezzo. Senza colpi di scena né cadute di stile.
Ciononostante, rimane senza dubbio un esordio di qualità. Squarcio di un panorama che suggerisce intriganti risvolti futuri. Un caso irrisolto, una terapia interrotta, e anche sul futuro della band rimane un curioso punto di domanda. Restiamo in attesa di vedere come si evolve la vicenda. Forse di Dorian, sicuramente dei Black Rain Theory.
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