Ho conosciuto i Radiofiera al tempo di “Allarme”, disco che tradiva influenze springsteeniane - e, più in generale, suoni rock tipicamente ‘americani’ - senza però mai risultare impersonale e acerbo, ma dimostrando anzi la maturità di un gruppo che dalle radici prendeva ispirazione per sviluppare un sound comunque personale. Al resto contribuivano le liriche, non solo perché in lingua italiana, ma anche e soprattutto perché credibili all’interno di una struttura musicale che di certo non può essere considerata fra le più malleabili.
Dopo 3 anni abbondanti riecco di nuovo il terzetto veneto con un nuovo lavoro dove si avvalgono della produzione di Simone Chivilò, già collaboratore di Massimo Bubola e artefice dell’esordio di Marian Trapassi, di cui altrove si è già detto. Il risultato è “La casa di Alice”, album che in linea di massima prosegue la strada solcata ai tempi del precedente cd, innestando però alcuni elementi di novità. All’ascolto, infatti, noterete frammenti di elettronica sparsi in tutto il disco, funzionali perlopiù a ravvivare un suono che avrebbe rischiato di sembrare ripetitivo. Emblematica, in questo senso, una traccia come “Ama il tuo d.j.”, apprezzabile tentativo di staccarsi dalla formula abituale per tentare un approccio ‘diverso’, se vogliamo anche più easy, ma indubbiamente inedito.
D’altronde, siccome non stiamo parlando di rivoluzionari percorsi, i Radiofiera che conosciamo non mancano di confermarsi, e lo fanno in episodi quali l’esilarante “Bar da Maria”, nell’iniziale “Mila”, in “Morte di un angelo”, in “Bang bang” e nella chilometrica “Bye bye Mary”. Sorprendono, invece, quando decidono di sperimentare nuove soluzioni, come succede nella title-track, dove a Luciano Gasper affidano il compito di recitare un testo a tratti agghiacciante, nell’onirica “Return from discotheque 4.30 A.M. (North East Plain)”, strumentale dalle atmosfere care a Brian Eno, e in “Tango” e “Angelina”, la cui musa, si fa per dire, è incarnata da Willy De Ville.
Insomma, un’opera che si apprezza nel complesso e che forse avremmo goduto con più gusto se le canzoni incluse non fossero state così tante, anche se nessuna di queste ci da l’idea di essere un semplice riempitivo. Certo, capiamo bene che in 3 anni di pezzi nuovi se ne scrivono in quantità, ma un disco più ‘snello’ avrebbe assicurato una promozione senza riserva alcuna. Poco importa, comunque, se procederete all’acquisto: i buoni motivi per farlo sono ampiamente descritti in questa recensione.
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