C'è, in un racconto di Jonathan Lethem, questo magnifico passaggio descrittivo di un personaggio in bilico tra paradosso e consequenzialità: "Aveva un aspetto orribile: i capelli arruffati, la bava che gli colava sulla manica del maglione, gli occhi gonfi come quelli di un bambino con la febbre; proprio quell'insieme di infelicità e vizio che una donna avrebbe trovato irresistibile." E probabilmente è tutta qui l'essenza del fascino delle rockstar, o dei poeti maledetti. Ciò che rende intramontabile il concetto di "bello e dannato". E che contraddistingue anche quel primo frutto primordiale dell'allora neonata chitarra elettrica: il blues. Il genere maledetto e ammaliante per eccellenza. Il motivo per cui sono stati siglati leggendari patti col diavolo sulle rive del Mississippi.
E lo sanno bene anche gli In The Wrong Place, che di inferno e dintorni hanno fatto il leitmotif e l'ambientazione di questo primo EP. Un inferno, il loro, che è la realtà di tutti i giorni, il "posto sbagliato" in cui sono costretti a vivere in quanto esseri umani nel XXI secolo. Narrano di quotidianità urbane, angosce e psicastenie già divenute abitudine in un mondo di automi (in)consapevolmente affezionati alle proprie routine. Gesti reiterati in loop, come un interminabile blues, o una pena dantesca, da cui non c'è scampo. Atmosfere sordide e opprimenti, dunque, popolate da riff ossessivi e rugginosi, una drum-machine, frequenti innesti elettronici e, a sovrastare il tutto, una voce un po' Manson-wannabe, quasi parlata, e sdoppiata in una miriade di echi demoniaci, che sembrano intenzionati a soffocare l'ascoltatore, stordirlo. Peccato per la pronuncia, decisamente troppo italiana.
Un sound metropolitano lo-fi, essenziale e tragico, su cui si impongono parole altrettanto drammatiche. "Another Loser Blues" è la storia di personaggi (con)dannati, e della loro ordinaria prigionia. Inizia in medias res, catapultando l'ascoltatore in una giostra di gironi infernali, con una sola domanda a risuonare nell'aria, quasi come una minaccia: "Can you see my damnation?". Una dannazione che si rivela essere la quotidianità, in un mondo di tentazioni ignorate, di (m)a(ledi)zioni ormai sfociate nell'automatismo e fantomatiche redenzioni impossibili da conquistare. E qui si apre un altro quesito, una presa di coscienza e relativo interrogarsi sull'identità del burattinaio che governa questo inflessibile circo planetario: "if I'm a rat, who's the cat?".
E su questa stessa via si prosegue anche nei pezzi successivi, tra sconfitti dichiarati e rassegnati a scavarsi la tomba ("Another Loser Blues"), automi vocoderizzati che raccontano in prima persona la propria illusione di libertà ("Robot Song"), e l'ultima, universale condanna: l'amore, in "In The Wrong Place". L'amore come prezzo da pagare, l'amore di anime (dis)perse nell'impossibile ricerca di casa, di una rassicurante prigione in cui rinchiudersi.
Quattro brani carichi di buone intenzioni, e che straripano sostanza, ma nei quali la forma risulta ancora un po' carente. C'è sicuramente da lavorarci, sia a livello di pronuncia che di suoni, ancora troppo grezzi e meccanici, ma s'intravedono senz'altro buone prospettive di miglioramento, di redenzione, di fuoriuscita dall'inferno. May the devil be with you.
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