Attitudine lo-fi e spirito anni novanta, voce effettata, chitarre senza basso, ombre di certi Pixies più melodici insieme ai Cure postWish, quelli dalle ballate condite di riff sognanti e immediati, per intenderci. L’apertura di “Dirty” segna il punto con un ritmo catchy esattamente a metà tra dolce e ruvido, quasi fosse nevrosi in pieno sole, mentre “Wrong” gioca coi riverberi su suoni più puliti e lineari; “Hyacinth Girl” omaggia T.S. Eliot e la sua Terra Desolata, ricordandoci che aprile è il mese più crudele (e su questo, per vari motivi che non sto a spiegare, sono stata sempre d’accordo) e lo fa con crescendo acidi che sfogano in refrain che s’adagiano tra asciuttezza noise e geometrie vocali, per abbandonare il campo a “Pretend” che prosegue la marcia in atto spingendo il pedale su una vena più malinconica.
Dodici minuti per assaggiare il sound degli ultimi Stayer, band attiva dal 1999, e come assaggio non è male: l’abbraccio tra sporco e sintetico, tra la chitarra che entra a gamba tesa e gli accorgimenti elettronici, funziona e fa ben sperare nell’album che ne verrà. Attendiamo dunque, confidando in un aprile migliore, o se non altro, in una pur breve primavera interiore.
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