I Fuochi di paglia non aggiungono molto di nuovo all’affollato panorama di cantautori, che si orientano nella loro musica avendo come punto di riferimento quel sottile e intrigato filo rosso che porta da Jannacci a Capossela. I testi, velati di ironia, non brillano per poesia e originalità; le scelte armoniche sono le classiche del cantautorato di genere e la personalità vocale risulta il più delle volte impalpabile.
La cosa che lascia maggiormente spiazzato l’ascoltatore è il trovarsi di fronte a un progetto ambizioso, ma realizzato con così poca cura e sperimentazione. Non bastano un contrabbasso e degli accordi di “settima” per avvicinarsi alle innumerevoli e cangianti sfaccettature del Jazz. Si percepisce una carenza di rifinitura e di eleganza nel fraseggio e nell’intreccio tra griglia armonica e linee vocali.
Il cantautorato è un mondo affascinante, ricco e vario, fatto di storie e artisti la cui arte dovrebbe riflettere in ogni modo le diverse esperienze e i personali vissuti. L’autenticità è un valore necessario, che fa la differenza tra chi intrattiene e chi fa arte. In questo caso la musica dei Fuochi di paglia risulta piacevole all’ascolto, ma ancora non matura per lasciare un segno nella memoria dell’ascoltatore.
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