Nati nel 2005 sotto la Madùnina, i B.E.S.T. sono i tra i pochissimi interpreti italiani del Northern Soul. Per chi non lo sapesse, venne definito così il soul più oscuro, raro, che nei Sixties non aveva conosciuto il successo di pubblico dei classici Motown e Stax, e che nonostante ciò negli anni Settanta divenne oggetto di culto in Inghilterra (in particolare nelle località del nord come Blackpool, Stoke-on-Trent, Manchester: da cui l’aggettivo “northern”). Dalla fine degli anni Sessanta al 1981 circa, locali come il Golden Torch, il Wigan Casino, il Twisted Wheel traboccavano letteralmente di ragazzi (e ragazze) inglesi venuti a ballare queste canzoni, scovate e proposte in pista da deejays come Russ Winstanley e Ian Levine.
Lungo preambolo per dire che suonare dal vivo il Northern richiede, oltre all’abilità tecnica e interpretativa, anche una vera e propria passione per la ricerca e la filologia musicale, e la costanza di non cedere alle richieste del mercato (della serie: -Dai, ci fai "Everybody needs somebody"?). Proprio grazie a queste caratteristiche i B.E.S.T., che in formazione hanno ben quattro voci di cui tre femminili, si sono creati un loro giro, con queste cover di brani dimenticati, e arrivano oggi a sfornare il primo singolo originale, due brani su 7” come la tradizione richiede.
Il primo, “Shilly-Shally”, che inizia coi clap-hands e l’organo malandrino di Paolo Apollo Negri dei Link Quartet, è quello che per sonorità rimanda maggiormente agli allnighters di cui sopra accennavo: con la voce di Claudia Serra a stagliarsi sui cori di rito, il sax baritono e la chitarra a puntellare il cantato. La b-side, “Wonderful”, colpisce però ancora di più. Costruita su un giro armonico che ricorda vagamente “Baby love” delle Supremes, è un gioiellino di incastri dove tutti gli strumenti coinvolti – comprese quelle campane sintetizzate che i Madness hanno utilizzato spesso nei loro pezzi più pop/beat - contribuiscono a creare corpo e movimento sotto la semplice linea vocale, interpretata con finezza da Eleni Characleia. Una melodia deliziosamente zuccherina, da cantare all’istante: la prima cosa da chiedere a un pezzo di black music vecchio stile. Oltre a far muovere il culo, ovviamente: ma qui non c'è nemmeno da chiederlo, viene automatico.
Dunque, un uno-due davvero pregevole per i B.E.S.T. (ho già detto che l’acronimo sta per “Blue-Eyed Soul Team”?), che aspetto quanto prima a una seconda prova, magari più corposa in termini di numero di pezzi. Intanto, questi due gireranno sul piatto del mio giradischi per un bel pò.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.