Una mezzora abbondante di rock immediato, veloce e melodico ma tristemente monotono e decisamente anonimo. Il quintetto romano si muove nello spazio che i vari Yellowcard o Simple Plan hanno aperto all’interno del pop punk, rendendolo un genere musicale sempre più mainstream. “High Five” è cantato in un buon inglese, è un disco suonato con energia e confezionato con precisione, ma che potrebbe conquistare solo pochi teenager ancora attaccati a questo tipo di suono.
L’esordio di questo giovane band è un disco privo di soluzioni innovative e fedelmente ancorato agli sterotipi e ai cliché di un genere musicale da tempo arrivato alla soglia di saturazione. La produzione del disco è notevole: il lavoro è stato affidato a Daniele Brian Autore dei Vanilla Sky, forse l’unico gruppo italiano che ha saputo sfondare in questo genere e che sicuramente coi The Anthem condivide la forma estetica, ma non la sostanza, che, in questo caso, è quasi invisibile.
Qualcosa da salvare si trova nell’immediatezza di pezzi catchy come “Cambodia” o nelle virate verso un rock più tradizionale (“Aeroplane”, “I need a Comeback”) ma quello che resta è comunque un album che potrebbe raccogliere consenso se venisse spinto verso il mercato americano.
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