Un po' di Tool, un po' di Primus e una spruzzata di Patton, ma soprattutto tanto dei Tongs. Gran bel disco. Lo dice anche Capovilla...
Questa volta mi è andata abbastanza di culo, perché solitamente quando capita ci perdo le ore, per non dire i giorni, e alla fine non cavo un ragno dal buco. La fastidiosissima sensazione di aver già sentito da qualche parte un pezzo, ma non ricordarsi dove. “Chi cacchio è che mi ricorda?”. Chi cacchio mi ricorda l’incipit di “Ziqqurat”? Aspè… “Schism”. I Tool. Sollievo. Anzi, non è che me lo ricorda: è proprio uguale. Buona, l’importante è saperlo. Poi per carità, il pezzo prende la sua strada, evolve, cresce, fa insomma quello che deve fare. Però l’attacco è proprio quello. Quindi? Quindi bene i Tongs hanno fatto a prendere spunto dai migliori. Che poi, a ben vedere, già il nome, Tongs, pinze in italiano, è riconducibile a Tool, attrezzo in inglese. Ecco, la pinza sta agli attrezzi come “Ziqqurat” a “Schism”.
Prog metal, uno dei generi più rischiosi in assoluto. I Tongs superano la prova virando questa attitudine Tooliana a modo loro, aggiungendo quel tocco di follia Primus style a rendere il tutto sempre imprevedibile: “Fractal anatomy”. Et voilà. Concetto ribadito, tanto per non essere espliciti, in “Insanity”, un roller coaster di quattro minuti, questa volta dai toni alt rock (di quello pesante). Alice In Chains? Le chitarre dicono di sì, il cantato, per fortuna, un po’ meno. Sono i Tongs che stanno suonando, non Jerry Cantrell. Anche perché un finale come quello di “Insanity”, Cantrell neanche se lo sogna da sbronzo. I primi tre pezzi quindi ci danno già il quadro della situazione “Fractal”.
I Tongs sono una band che sa suonare, con le idee abbastanza chiare, supportate da dei riferimenti ben precisi in testa. Il sound, per quanto a tratti palesemente debitore verso i nomi sopra citati, rimane comunque sempre personale, riconoscibile, mantenendo quindi intatto il vero scarto tra l’omaggio e il “plagiomaggio”. Bravi e intelligenti dunque, ma soprattutto bravi. “Red Eye” piacerebbe a Mike Patton, spezza il ritmo dopo la prima tirata, per far capire che sotto la forma c’è la sostanza, ci sono le idee. C’è insomma la capacità di mettere in piedi un pezzo senza per forza dover dare tutte le volte di matto. “Scarecrow’s gasp” idem, ma dando di matto.
E via così: la blasfemia divertita di “Sex in sacresty”, il fastidiosissimo ronzio elettrico di quarantasette secondi di “Merdemorte”, il funky iper tecnico di “Wake up, get up, get off” che fiorisce in pura psichedelia. Tutto talento in bella mostra. E poi la fine, “Italian politics”. “Italian politics” è Pierpaolo Capovilla che recita con fare luciferino e, manco a dirlo, molto “teatrale”, la ricetta della pizza margherita, ricamando su un background sonico quasi industrial. E qui ci si può davvero leggere di tutto: critica, ironia, satira, malessere. Schifo. Funziona, perché funziona eccome. Come del resto però, è tutto “Fractal” a funzionare. Ergo, finiamola di tirare la vacca sul solaio: ce ne fossero come i Tongs…
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La recensione Fractal di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-10-12 00:00:00
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