Potrebbe scrivere decine di canzoni di puro mestiere folk e raccoglierebbe comunque complimenti. Perché lui certi suoni, che partono da Jeff Buckley e arrivano a Devendra Banhart, li conosce bene e li rielabora ancora meglio. A Paolo Saporiti, invece, piace il guizzo inatteso. L’elemento di disturbo che appesantisce la comunicatività di un’opera e rallenta l’immediatezza delle melodie.
“L’Ultimo Ricatto” è così. Promette e - volutamente - non mantiene, sin da quel titolo in italiano che Saporiti ha incollato sulla copertina di un album cantato in inglese. Ti aspetti Mario Venuti e ti ritrovi The Niro. “Deep Down The Water” attacca solenne e dissonante e poi scivola via in tono malinconico, “Sweet Liberty” è una ninna nanna immersa in pesanti riverberi, “I’ll Fall Asleep” ribadisce questo continuo cortocircuito tra piano e forte, con un arpeggio che più conservatore non si può e un rumorismo free rock che si dimena sullo sfondo. “L’ultimo Ricatto” è un bel disco, ideale per chi dice cantautore e intende songwriter. Proprio così, all'americana.
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