Un gran bel disco di transizione, per una delle migliori band italiane di un genere in trincea
Non è un mistero che lo ska sia un po' scomparso dai radar, da qualche anno a questa parte. Molte band storiche sciolte (di cui pochissime rimpiante), altre convertitesi a diverse sonorità, altre ancora cristallizatesi definitivamente sulla dimensione live, unica parentesi in cui progetti sfruttati oltre il limite massimo possono trovare ancora riscontro.
Tra i pochi, pochissimi resistenti, ci sono i veneti Ska-j. Formatisi poco più di dieci anni fa, praticamente alla fine dell'ondata di gruppi con lo "ska" alla fine del nome (e ho detto tutto), hanno sempre rappresentato una piccola eccezione nella scena Jamaica-oriented dello Stivale. Sul modello di una band stratosferica come i New York Ska-Jazz Ensemble, hanno sempre puntato su un ibrido di grande eleganza e che consente maggiore originalità rispetto, ad esempio, al più codificato rocksteady.
Brani al confine tra bluebeat anni Sessanta e standard swing si sono sempre alternati così, nel loro repertorio, a pezzi più tipicamente ludici (leggi "cazzari": perchè ahimè, questo chiede il mercato, almeno da noi, ai gruppi ska), che nel caso degli Ska-j prosegue naturalmente l'opera dei veneti Pitura Freska, di cui Marco "Furio" Forieri - cantante sassofonista e mente dei nostri - è stato fondatore. Esempio lampante di questo ultimo filone è "Santamarta", un classico della band costruito sul modello di "54-46" di Toots & the Maytals, e riproposto in nuova veste in questo disco. Un pezzo che rimane carino e coinvolgente, e che confrontato con altri "tormentoni" ska evidenzia una certa classe di fondo.
Ma il genere di canzoni di cui gli Ska-j sono maestri assoluti in Italia, è un altro. In "Socco", tre strumentali come "Inga the Kangaroo", "Cous cous" e, soprattutto, "Perchè no": ovvero come unire la necessità genuina del ballo (perchè lo ska si balla, ma dai?) alla tecnica e all'originalità negli assoli degli ottoni, a sonorità "altre" mai eccessivamente folkloristiche e, occasionalmente, al dub (in "Cous cous"). Non è poco, per niente. Poi, a onor del vero, non è che i veneti diano il meglio di sè solo nei pezzi non cantati: le cover "Senza fine" e "So in love", interpretate dalla sinuosa voce di Ilenya, sono molto riuscite. E ancor di più i due originali "Dimmi ancora ciao" (in duetto) e "Centro vitale", brano che testimonia una finezza compositiva non comune, oltre che una benvenuta e lieve malinconia nei testi ("Vorrei solo smettesse di piovere sulle nostre vite, vorrei solo smettesse il frastuono dei fulmini dentro di me"). Forse è solo un mio pallino, ma penso che se un pezzo del genere fosse portato a Sanremo e cantato da, per dirna una, Malika Ayane potrebbe far drizzare le orecchie a qualcuno.
Ecco, fino a qui tutto bene. Benissimo anzi. Bentornati Ska-j, grandi. Ma siamo di fronte a un disco lungo, di quattordici tracce (anche se una è bonus, "Santamarta", e un'altra la versione in italiano della title-track). Tra queste, alcune appartengono al "secondo filone" di cui parlavo sopra: "Vivere a Venezia", la più azzeccata, interessanti le ritmiche e i controcanti dei fiati, sfiziosa la digressione soul nel pre-chorus. Ma "Socco", che dà il titolo all'album e sta per "zuccone", è simpatica, e davvero poco più; e "Chissà, chissà, chissà", in cui il sassofonista Luca Toso canta delle sue notti alcoliche, è purtroppo bruttina e scontata, tranquillamente skippabile. Così come evitabile era la cover "Fever", brano ultranoto e anche un po' usurato, a cui l'arrangiamento degli Ska-j nulla aggiunge, se si eccettuano le apprezzabili armonie della sezione fiati. Anche l'intro iniziale, che prende consapevolmente le mosse da un altro classico strasentito come "Pata pata", lascia abbastanza il tempo che trova.
La mia impressione è che "Socco" sia un disco di transizione, che infatti arriva subito dopo il best of del decennale. Un gran bel disco di transizione, da ascoltare e ballare. Nato in un momento in cui il genere di cui gli Ska-j sono ambasciatori è più che in transizione, è in trincea. Personalmente credo molto nelle capacità della formazione di Furio Forieri (insieme a una manciata di altre) di tirarlo un po' fuori da lì. E il prossimo disco potrebbe essere quello giusto per farlo.
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La recensione Socco di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-09-28 00:00:00
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