Storia travagliata quella dei Luc Orient, in attività dai primissimi anni ottanta ma di cui questo è di fatto l'unico album fatto e finito. Come si sa, le storie travagliate fanno bene alla creatività. Non sempre, ma spesso. In questo caso sì, la creatività ne ha tratto giovamento: “La Vie à Grande Vitesse” è un lavoro che non lesina in dinamismo e ricerca sonora, recuperando suggestioni dagli anni delle origini e arricchendole di world, folk, cantautorato e ritmi e strumentazioni di ampie vedute. Se di wave si può parlare (la tentazione di farlo viene soprattutto da “Amore, nessun dolore”, il pezzo più krismatico) è in senso ampio e talkinheadsiano: esemplari “Oui Misses Bloom”, con la mescolanza di inglese, italiano e francese, i fiati e i ritmi tropicalisti, e la title-track, dall'andamento reggaeggiante su cui non stonano la melodia francofila e il cantato alla Bryan Ferry. Pur senza dimenticarsi del presente, lucidamente rappresentato nelle liriche (“Champagne” e “Requiem” in particolare), La Vie mantiene il respiro elegante di certe opere d'altri tempi, nel portamento un po' smagliato con cui vengono offerti all'orecchio brani come lo spettrale “La casa” e il baustelliano “Mi Dva”, impregnati di crooning meditabondo e decadente. Très chic.
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