Quando ho ascoltato la prima volta il nuovo album dei Le Gros Ballon, ho avuto la certezza del motivo per il quale ho iniziato a scrivere di musica e non solo a suonarla: avere la possibilità di ascoltare dischi come questo.
Ciò che sento è un inno all'immaginazione, alla scoperta. Non posso non pensare ad un bambino di città che si trovi per la prima volta nel bosco. A come, superata la paura iniziale, possa tornare ai primordi, all'allegria e alla curiosità nel vedere gli alberi e le creature conosciute solo nei libri, toccando e respirando una nuova ed entusiasmante realtà. Le Gros Ballon, la mongolfiera alimentata a suoni, è formata da Francesco Campanozzi e Marco Capra, due polistrumentisti che vantano svariate collaborazioni di rilievo (Fabrizio Coppola, Alessandro Fiori, Marco Notari, Pekisch e altri ancora) e che con questo nome collettivo sono giunti al terzo capitolo, dopo un album e un Ep pubblicati due anni fa.
Composizioni dai colori folk, a tratti inusualmente etniche, spesso sospese, come il loro astratto pallone aerostatico, tra lo Yann Tiersen cinematico e il minimalismo caotico di certe sonorizzazioni anni 70, che con un po' di fortuna, potevamo ascoltare a corredo di un documentario trasmesso a notte fonda. Gli strumenti utilizzati la dicono lunga sul divertimento che i due possono aver provato nel registrare questo album: tra chitarre, pianoforti, batterie e bassi, si fanno spazio il banjo, il violino, il synth, l'armonium, la diamonica e ancora campanacci, bomboletta spray, zanzare, fischi, ektar e glockenspiel.
Non è bello pensare di essere in studio in mezzo a tutto questo ben di dio e poter dare sfogo alle proprie visioni? Io dico di sì e "Orange" dei Le Gros Ballon ne è la riprova. Le illustrazioni dell'illuminato Alessandro Fiori incorniciano perfettamente questo lavoro.
Un disco maturo che conserva l'estro e la fantasia infantili. Un ascolto consigliato a chi ricerca nella musica il realismo magico dei racconti di Gabriel Garcìa Màrquez, a chi vuole perdersi in un viaggio senza parole, nel quale, se apri la bocca per lo stupore, puoi mangiarti le nuvole .
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