E’ da un po’ che lo osservo. Seguendo i programmi dovrei avvicinarlo solo dopo aver concluso la noiosa lettura giuridica a cui sono obbligata, ma non ho mai rispettato un programma in vita mia e credo che nessuno se la prenderà se per l’ennesima volta persevererò nella cattiva condotta.
Il nostro rapporto inizia con la dovuta calma. Per i primi cinque minuti la mia attenzione appartiene totalmente alla figura oltre l’involucro (oh, la cara copertina!!). So tutti i proverbi in merito ma continuo a subire l’impero dell’apparenza e, specialmente, continuo ad essere affascinata dalle suggestioni che le immagini, solo alcune e questa è una di una di quelle, possono creare.
Dalle prime note (“When the lights are changing”, unico episodio anglofilo) entriamo subito in confidenza ed è solo dopo un po’ di tempo che mi impegno a sezionare la creatura.
C’è una voce, una voce che dice qualcosa.
Il concetto non è lapalissiano come sembra, essendo tante le voci splendide che risultano completamente asettiche. La voce di Salvatore Di Palma è morbida e, soprattutto, sembra assecondare i tempi di chi la ascolta. Poco per volta, senza forzature, si insinua ma non arriva mai ad essere invadente.
La musica su cui si poggia è un classico inesauribile: chitarra, basso, batteria. Il suono è pulito, un rock, con un lieve retrogusto melodico, ben strutturato nel quale i tre strumenti trovano il loro incastro e il loro spazio e che, più importante, non precipita negli stereotipi del genere mantenendo una sua acerba personalità. La forma necessita sicuramente di una levigatura ma la mancanza un più evidente è un’altra: quello che il mio udito reclama è il coraggio! La sua assenza può far passare qualcosa che ha delle potenzialità per un prodotto preconfezionato, una visione nata per non lasciare traccia e credo che i suddetti di ciò non debbano accontentarsi.
La mia preferita delle quattro tracce, “Torrido percorso”, è forse quella in cui si domina con meno timore la musica e i risultati da soli dovrebbero indicare la strada.
La conclusione la lascio alle parole che gli artefici di ciò di cui si è provato a disquisire usano per definire la propria musica. L’evidente coinvolgimento le renderà poco oggettive ma penso anche che aggiungerà qualcosa… “Fredda come il ghiaccio, calda come il fuoco”.
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2002-08-24 00:00:00
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