Cinque tracce, cinque dipinti, cinque anime.
Il mondo interiore, paesaggi, i rapporti. Quello dei Camp Lion lo definirei “shoegaze espressivo”.
E' un'esternazione che nasce dal peculiare approccio della band trentina, un avvicinamento al genere che predilige l'impatto alla fumosità del genere, compattando i suoni come in “Iesus”, traccia iniziale, primi secondi connotati da un'improvvisa apertura, quasi fosse una cascata di suoni. Un ingresso, quasi a voler introdurre l'ascoltatore in una realtà parallela, un flusso di coscienza, fedele ai migliori cliché del genere.
In “Pangea” coesistono varie anime, quella dei sentimenti, quella della realtà, quella delle sensazioni. Immaginari tra loro connessi, mai scollegati tra loro, in un insieme che racconta di relazioni tra l'uomo e l'assoluto, come in “Faustoeluniverso”, piccoli racconti di smarrimenti espressi in una cameretta del profondo nord, tra silenzi, inverni nevosi e l'aria pungente del freddo che avanza, un cielo speciale tempestato di stelle, descritto oltre cinquanta anni fa da un certo Guido Piovene. La remissività della nuova generazione, una strana miscellanea tra trip hop e shoegaze d'ultima generazione, raccontata nella finale “Passeggero Spettatore”, gradevole ritratto musicale dell'uomo televisivo degli anni zero, pennellate torbide e toni ectoplasmatici. Quasi a descrivere un ologramma dell'anima, impresso in uno dei passaggi migliori dell'ep.
In definitiva, cinque tracce che avrebbero meritato una maggiore cura nelle liriche e una maggiore compattezza concettuale d'insieme, ma parliamo di una vetrina musicale, non certo di un lavoro completo.
Per questo, e per tanti altri motivi, va benissimo così.
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La recensione Pangea di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-10-26 00:00:00
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