Bravi a suonare ma pessimi nello scrivere canzoni.
Nascono come cover band di U2 e Depeche Mode, ma ci saresti arrivato anche senza leggere la biografia. Le chitarre alla "Pride (In The Name Of Love)", negli acuti lunghi e riverberati, le tastiere anni 80. Sono parecchio bravi: le due tracce in studio suonano bene, quella dal vivo ancora meglio. Significa avere gli attributi, essere a proprio agio con gli strumenti, in studio come sul palco. Significa sapere cosa si vuole. E se sai cosa vuoi, il pubblico te lo mangi. Quella carica lì, quel sorriso stampato in viso e un'innata voglia di caricare il più possibile chi ti sta davanti, incitarlo a battere le mani, essere un tutt'uno con lui, non importa che sia stia cantando di malinconia o del più bel giorno vissuto. Fino a qui tutto bene.
Manca il resto: il dolore, lo spessore artistico, la ricerca, la cura dei dettagli. In pratica le canzoni. E se posso permettermi di essere catastrofista, questo tipo di profondità difficilmente arriverà. Dovrebbero buttare via quanto fatto finora e partire da tracce che stiano in piedi anche solo con una chitarra e una voce, che trasmettano davvero qualcosa e solo in seguito aggiungere tutta l'armatura di synth e immaginari presi in prestito. E' un lavoraccio. Immagino che la strada della cover band dia più soddisfazione.
---
La recensione Broken Frames di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-10-19 00:00:00
COMMENTI