Temo che il cd di Architect’s Eye mi sia capitato tra le mani nel momento meno propizio: non che con la bella stagione mi venga voglia di ascoltare per forza solo i Beach Boys, ma l’ascolto ripetuto causa recensione dei 56 minuti e oltre di “Decline” non è esattamente l’ideale per trascorrere un pomeriggio di relax estivo. Le undici tracce che compongono il cd sono infatti un concentrato di negatività e claustrofobia in salsa elettronico-darkeggiante, costruite su ritmiche quasi mai troppo veloci e non sempre regolari, ‘farcite’ da sonorità molto sintetiche, che più che all’elettronica più sperimentale fanno pensare a un disco di fine anni ’80 (il paragone più ovvio e popolare è forse quello coi primi Nine Inch Nails, ma con uno spettro sonoro più ricco e un fare più compassato e meno schizzato). Il primo proposito di Architect’s Eye sembra quello di costruire delle atmosfere, più che delle canzoni: l’incedere dei pezzi è spesso lento, gli strati sonori, più o meno ‘artificiali’, sono accumulati uno sopra l’altro con minuzia (si va da note sospese di piano a chitarre velenose a tappeti sonori di gusto un po’ retrò), e ci sono anche delle voci, spesso solo dei sussurri/rantoli mixati molto ‘dentro’ le basi, il che rende praticamente incomprensibili i testi. Dal punto di vista sonoro il disco è ben curato, anche se la mancanza di una certa profondità di suono lascia intuire che sia una produzione molto professionale ma casalinga (e in un disco così cupo la presenza di un po’ di basse frequenze in più non avrebbe certo stonato).
Complessivamente un buon lavoro, che si muove dentro coordinate molto precise e anche per questo potrà risultare parecchio interessante per i fan del genere. Per quel che mi riguarda ho più di un dubbio su questo tipo di approccio alla musica, così negativo sia dal punto di vista dei suoni che dell’immagine generale del ‘gruppo’ (date un’occhiata alla pagina web e capirete meglio di cosa parlo): per quanto tecnicamente rifinite, credo che opere del genere manchino di comunicatività (probabilmente è una scelta, ma allora a che pro incidere un disco per ‘non comunicare’?) e vadano poco oltre il definire le cupe atmosfere di cui sopra; il che, per un disco lungo come questo - e a cui presumibilmente è stato dedicato tanto tempo - non è certo un pregio.
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La recensione Decline di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2002-08-06 00:00:00
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