Frankie Magellano fa esattamente il genere di musica che la sua faccia da zingaro felice lascia intuire, e cioè quello che può essere definito, come suggerisce brillantemente sul suo sito lo stesso Magellano: piccolo teatro musicale mobile schifoso. Musica sporca di polvere e fango, recitata con la sfrontatezza dei teatranti di strada e l'andatura barcollante di chi cammina tanto, e dorme poco e male perché non si preoccupa di avere un letto comodo ogni notte. Quella musica che racconta storie di amori fallimentari e personaggi minori, quella musica sempre dalla parte degli ultimi e sempre in giro per il mondo più o meno terzo.
Nello specifico, gli adulteri e le porcherie di cui siamo al cospetto partono - alquanto prevedibilmente – nell'Europa dell'est con la gogoliana o bordelliana “Djievuska incintissima”, e tornano in Italia sulle note paolocontiane e sulle liriche tondelliane di “Amore mio fallimentare”. Nel mezzo fanno sosta nei peggiori bar dei balcani, del mediterraneo e del Sudamerica, ballando tanghi (“Il taccuino del sagrestano”, “Arnaldo Pininfarina”), lenti da trattoria (“La delicatezza dell'inganno”) e danze tzigane, in un itinerario ebbro, grottesco e romantico fra arte povera e sguaiatezza.
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