Un sound che pesca a piene mani dal revival della new-wave e si fonde, in alcune occasioni, con le chitarre dei primi Radiohead.
Dopo i primi ascolti, quelli necessari per approcciarti a un disco inedito, avevo messo da parte questo esordio, nell'attesa che svelasse ulteriori dettagli; non ero infatti ancora in grado di formulare un giudizio compiuto e forse ancora oggi ci sarebbero dei margini su cui ragionare.
Giusto per anticipare i detrattori, i Divenere non sono di nulla di trascendentale: il sound pesca a piene mani - senza vergogna - dal revival della new-wave e si fonde, in alcune occasioni, con le chitarre dei primi Radiohead, ovvero di quando ancora non si erano sposati col loro storico produttore (Nigel Goldrich) ma si affidavano alle mani di John Leckie. E sono innamorati a tal punto di quei suoni che in "Sometimes" arrivano persino a citare palesemente "Nice dream", ricantandone praticamente un passaggio. Per fortuna non si fermano al solo revival (che, detta così, non rende merito alle canzoni della formazione romana), ma provano a inventarsi qualcosa di personale. Non sempre, però, riescono a centrare il bersaglio, quasi mancasse loro la giusta chiave per assemblare il tutto; quando ad esempio provano con degli inserti di tastiera la formula a tratti zoppica, proprio come avviene nel finale di "You (know how to) Love Me Quietly", potenziale singolone alla Death Cab For Cutie di "Meet Me On The Equinox", dove all'improvviso compare una tromba a smorzare il ritmo, fino a trasformare il pezzo in una bossanova. L'idea in sè non sarebbe malvagia, purtroppo la resa non è delle migliori. Dicasi lo stesso di"Something, somewhere", appesantita da alcuni synth di stampo decisamente eighties che forse avrebbero funzionato se la band avesse speso un po' di tempo in più nell'arrangiamento.
Per cui, siamo costretti ad ammettere che i brani meglio riusciti sono quelli il cui sound ricalca in pieno i modelli stilistici che potete immaginare (ovvero Editors, Muse e finanche i 30 Second To Mars): "Modern star", "You start fading", "In conscience", "Love loses emotion" e la title-track su tutti avrebbero fatto un figurone se racchiuse tutte in un ep – e le rimanenti tracce lasciate nei cassetti a maturare. Non è andata così, ma va dato atto alla band di aver fatto completamente da sola; e quando il risultato finale è di questo livello, allora i complimenti valgono doppio.
Se sul palco riusciranno a risultare altrettanto convincenti - siccome in studio pare sappiano cavarsela egregiamente - c'è qualche speranza anche per loro di ritagliarsi uno spazio dentro e fuori i confini nazionali.
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La recensione The Snow Out of Her Apartment di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-11-21 00:00:00
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