Dritti, spavaldi e catchy, i Charlestones vanno avanti per la loro strada brit.
Voglio introdurre nei vocabolari l'espressione “avere il beat”. Come “Avere il blues” ma con l'etimologia al contrario: da “avere il blues” nasce il blues (genere musicale), dal beat (genere musicale) nasce “avere il beat”. O il brit. Che se il blues (stato d'animo) è miseria desolata, negritudine e mal d'africa, il beat o brit (stato d'animo) è ottimismo disincantato, sfrontatezza proletaria e siamo-inglesi-e-siamo-i-mejo.
Naturalmente, così come per avere il blues non è necessario essere erede di una stirpe di schiavi dell'Alabama, per avere il beat non bisogna per forza appartenere a una dinastia di minatori in sciopero con la maglia dell'Arsenal. Puoi avere il beat anche se sei di Tolmezzo, Udine. I Charlestones, per esempio, ce l'hanno.
Ce n'eravamo già accorti due anni fa, e adesso ce ne offre conferma questa mezzoretta di concentrato di beat (brit): come nel primo album, più che nel primo album, mettono in fila con disinvoltura dieci pezzi casual e spigliati, rubando (per chi ancora avesse problemi col concetto: si chiama furto creativo e non è reato se fatto bene) qua e là dagli inevitabili Beatles (“The Girl Who Came To Stay”, una “Standing In the Prime Of Life” con tanto di coda protopsichedelica), dagli Oasis senza paturnie (“Let It All Hang Out”) e da tutti i gruppi, dagli Arctic Monkeys in giù, con cui condividono spettinature e giovinezza.
Parafrasando uno di loro (i Vaccines per la precisione): cosa ci aspettavamo dai Charlestones? Nient'altro che questo, e per adesso ci basta.
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La recensione Off The Beat di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-11-13 00:00:00
COMMENTI (1)
La prima traccia è eccezionale... poi si rallenta un po',,,