Adriano Modica La Sedia 2012 - Cantautoriale, Psichedelia, Pop

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Pietra, stoffa, legna. Adriano Modica si congeda dalla trilogia dedicata ai materiali con un disco importante. Lisergico, lento, soprattutto bello.

Qualcuno è forse in grado di recapitare un paio di ceffoni a questo qui? Sarebbe cosa buona e giusta, perché non si chiude così una trilogia, con un disco che sanguina bellezza, regala suoni celestiali, sputa psichedelia e addomestica l’ascoltatore con morbidezze assortite. No, Adriano Modica avrebbe dovuto continuare a battere il ferro fino a farlo diventare bollente, cambiare i programmi e mettere in cantiere come minimo una quadrilogia.

Certo, arriveranno altre idee, altre canzoni, ma chi è che non ci rimane male quando una fase giunge al capolinea e non si sa cosa può riservare il sol dell’avvenire? Si scherza, ovvio, tranne sulla qualità di “La sedia”: di questi dieci pezzi non si butta via niente. Che al loro interno ci sia qualcosa di prezioso si intuisce sin dal primo ascolto. E dalla prima traccia. Prendete un pezzo minimale, diciamo pure (ma anche no) lo-fi, date qualcosa da fare a Duggie Fields (uno abituato a fare bisboccia con tale Syd Barrett, mica con Drupi) ed ecco l’opener “Alieni” avviarsi in un buco nero popolato da signori dell’astronomia intenti a intraprendere la più classica della “Guerra dei mondi”. Per giunta in vena di tirare fuori dal cilindro suoni stranianti, probabilmente orchestrati assieme a quattro capelloni di Liverpool che dove li metti bene stanno, se poi chiedi loro in prestito “Revolution 9” tanto meglio. E visto che i beatiful losers piacciono non poco da quelle parti, ecco il cantautore calabrese omaggiare in modo incondizionato Leonard Cohen con “Il bastone e la scala”, arpeggiare come farebbe Nick Drake e poi, non contento, inserire nel finale di “Alluminio” una tromba neanche ci fosse di mezzo Robert Wyatt. Volendo c’è un pezzetto di Marco Parente (per il quale Modica è stato bassista), come in “Almeno il cielo è sempre uguale”, qualche dritta in arrivo dal deserto, quella che esce fuori da “C’era una volta a Pietrastorta” e il fascino della narcolettica “Ninnananna per Lulù”. Lentezze, si diceva, ma anche cazzeggi di gran classe, offerti dall’orchestra sgangherata che fa capolino in “Il divano”, la bulimica "L'albero delle mollette", in più testi lontani diverse miglia da banalità e rime baciate, cosa che non fa mai male.

Minimo comun denominatore: la bellezza, in uscita da un talento puro, del quale ci si può fidare. Pietra, stoffa, legno: la trilogia dedicata ai materiali termina con un disco importante come “La sedia”. Il futuro di Adriano Modica sta per cominciare: se non sarà all’altezza del presente, quei ceffoni di cui sopra sono sempre pronti ad arrivare a destinazione.

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La recensione La Sedia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-01-16 00:00:00

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