Il primo volo spaziale con a bordo un uomo, e il primo con a bordo una donna, sono partiti dalla base di Baykonur. Parte da qui anche il viaggio dei Black Flowers Cafè, con uno strumentale post psichedelico che lancia il gruppo nientemeno che su Marte, pianeta su cui si trova la valle di “Ophir Chasma”, che loro attraversano a bordo di un britpop leggero, prima di volare verso “Thuban”, planando su sonorità fredde, boreali come la stella che dà il titolo alla canzone.
Seguendo la rotta “Dubhe/Merak” - sulle orme di Thom Yorke – raggiungono la cintura di Orione e visitano le sue tre stelle: “Alnitak” - da cui assistono a una “prima alba dopo la fine del mondo” che sorge fra i colori di un post-rock dal nervosismo prima contenuto poi esplosivo - “Alnilam” e poi “Mintaka”. Sono stelle complesse, formate da vari elementi: come le canzoni dei Black Flowers Cafè, che non tornano mai allo stesso punto da cui partono, perché strada facendo deviano, rallentano, puntano ai tersi ghiacci islandesi e poi tornano agli umidori britannici, si spezzano, senza però mai allontanarsi troppo da un binario che è tutto sommato pop. E cosa c'è di più pop che guardare le stelle d'estate?
Il triangolo estivo è l'ultima tappa di questo viaggio spaziale, che si libra sognante su “Altair/Deneb” per raggiungere infine “Vega”, dove ci viene offerto un perfetto esempio di quell'attitudine alla mutevolezza di cui sopra: in sei minuti si va dalla psichedelia al pop e ritorno passando per uno psychorave. Quando si torna a terra, resta il ricordo di un viaggio interessante e movimentato, condotto da una band che non ha paura di volare alto – “alto” non nel senso di stelle e pianeti bensì di modelli e ambizioni esibiti senza remore.
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