Tra variopinte venature di polvere che si formano repentinamente sugli oggetti intorno a me, cerco di trovare aria pulita da respirare bene, ma non è mai stato così difficile: perché la parola più vicina a “Navi” è soffocare. Annaspare, sprofondare in un ambiente chiuso e duro che non ha alcuna intenzione di ospitarci, uno spazio piccolo, elettronico, minimale, e cosa posso fare se non aprire un confronto immediato con me stessa, non resta altro. Testi che stanno in una mano, percorsi nella coscienza tanto personali quanto incisivi, su un pavimento freddo di note tese e senza speranza, capaci di affondare tre dita nel petto e stringere la presa, e cosa potrei fare se non lasciarle libere di strapparmi il cuore.
Quanta bellezza in “Terzo Paesaggio”, come se “All Your Women Things” degli Smog fosse avvolta in un fumo acre e denso capace di cancellare la tristezza per trasformarla in consapevolezza, come se una smania sintetica catturasse i suoni per mutare la malinconia in uno sguardo fisso, asciutto, senza ripensamenti. Gli accenni di “Non Sei Tu”, dove senti di scoprire lentamente una canzone nascosta sotto una coltre nevosa che si scioglie piano, ma mai del tutto, e “Il Corpo Della Pioggia” dove trovo l’aria pulita che cercavo, e respiro bene nonostante la costante stretta nel petto, nonostante la polvere dove disegnare i ricordi. E tra soffocare e sprofondare nasce un piacere inatteso, perché questo disco non puoi non amarlo.
E nel sonno che sopravviene col buio, “Nove Navi” chiude con archi dolci che poi impazziscono, lasciandoci in uno spazio piccolo, scuro, ossessivo, dove l’ossessione diventa passione e non ci abbandona, finché non riusciremo a trovare un altrove.
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