Come quella volta che nel pieno della notte cercammo un bar in cui chiacchierare fino all'alba, senza trovarne uno aperto. I tuoi racconti e le tue rivoluzioni scivolavano addosso a una città che, spente le luci, seppellisce ogni battito. Quando il mattino ci sorprese aggrovigliati ai nostri pensieri di fuga, sussurrasti irrequieto: “È un paese per vecchi.”
Riesco a immaginare uno scenario simile mentre ascolto in maniera compulsiva l'album dei La Fortuna di Nashira, quartetto pisano precedentemente noto con il nome di Hc-Virus. La volontà di scuotere le fondamenta del già noto emerge dalle modalità del tutto originali con cui questi ragazzi reinterpretano schemi consueti nello scenario alternativo contemporaneo. Sia che si tratti dell'accenno post rock nell'incipit di “Claustrofobia”, sia se ci riferiamo a pezzi dalla struttura più tradizionale come “Spezza il pane per Giuda”, in cui la rabbia esplode con insolenza tra chitarre sornione mentre la batteria priva di pudore non sbaglia un colpo. Stralci cantautorali sono ciò che rimane dalla deflagrazione interiore di “Hiroshima”, paesaggi interiori distrutti da una sezione ritmica che diviene man mano più sostenuta, attitudine (dis)illusa che consegue alla consapevolezza di essere circondati da macerie, reali e metaforiche. In “Frida” la voce pecca a volte di eccessi capovilleggianti, per ritrovare presto la sua fresca irruenza tra derive noise e sperticate sperimentazioni. “Percezioni visive” rappresenta probabilmente l'episodio meglio riuscito o quantomeno il più rappresentativo del sound della band: ritagli sonori attraversati da distorsioni e ricerca melodica. Oltre la metà del brano, un ricamo di chitarra accarezza voci sussurrate ma non per questo meno impetuose. A “Dicono che” tocca l'onore e l'onere di accompagnarci al finale.
E' a questo punto che il ritmo rallenta come quello del cuore di una città qualsiasi alle prime ombre, e il suono stuzzicante di un organo racconta di tempi lontani, di quando questo paese non era solamente un paese per vecchi.
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