Bianco
Storia del futuro 2012 - Cantautoriale, Acustico, Pop rock

Storia del futuro

Il futuro di Bianco sarĂ  oltremodo luminoso, se continuerĂ  a scrivere canzoni come queste.

Ultimamente l'Italia musicofila pare spaccata in due scuole di pensiero: quelli che “due palle questi nuovi cantautori, lamentosi, ombelicali, specchio di un'era impregnata di adolescentismo disimpegnato”, e quelli che invece “è un'epoca florida per il cantautorato italiano, Dente, Brunori, Carnesi, Colapesce, che bello il minimalismo, la poetica delle piccole cose, l'estetica indie scanzonata”. Sarò banale, ma credo che la verità stia nel mezzo.

È vero che alcuni entusiasmi sono esagerati e che chissà di quanti della leva cantautorale degli anni zero/dieci ci ricorderemo da qui a un decennio, ma è vero anche che ci sono talenti originali, lucidi, nelle cui storie minime si legge qualcosa di più grande. Fra questi, io ci metto Bianco. Che alla prova del secondo album pare aver messo ben a fuoco la strada che intende percorrere: la via di un pop-rock brillante, radiofonico nel modo in cui dovrebbe essere radiofonica tutta la musica se vivessimo in un mondo giusto, e mai monotono o monotòno.

In “Storia del futuro” l'acustico e l'elettrico si alternano con scioltezza, e l'ampia varietà di strumenti si mette con discrezione al servizio di brani che vanno dal rock nervoso della title track, di “La notte porta conigli” e “Mi piace come ridi tu” al pop soavemente stralunato di “Il bosco dell'amore” e “La solitudine perché c'è” (con il featuring di uno che di canzoni soavi ne sa, Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione), dall'elettronica atmosferica, che può rimandare a certi pezzi più oscuri dei Subsonica, di “La strada tra la terra e il sole” al sontuoso intreccio di pianoforte e violoncello della bersaniana “JPG”.

Su tutto veleggiano liriche intrise di una poesia del quotidiano che dice sì, i cantautori che sanno parlare d'amore esistono ancora, checché ne pensino quelli che “due palle...”. Io ci credo duro nella storia del futuro.

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