Uno, due, tre ascolti… L’impressione generale, alla fine, è quella di un gran bel giocattolone glitterato, che rotola nel buio, dove i led si accendono e si spengono in sincrono con la musica, avete presente no? Tutto molto bello e coinvolgente, sì, ma le pile durano poco e alla fine ti rimane solo il sapore di quell’effimera bellezza sintetica che ha scavalcato tre decadi, a partire dagli anni ’80, e tanta, tanta voglia di riascoltarti tutta la bibliografia sonora che si nasconde dietro questo debutto.
I Lads Who Lunch rispolverano il dizionario ufficiale del wave-rock, in tutte le sue più suggestive (e collaudate) declinazioni, e lo personalizzano alla loro maniera, rimarcandone le prospettive più commestibili e radiofoniche: “Puppets” segna il passo riesumando l’anima più danzereccia degli Editors, “Brats” e “Unfair fight” ostentano lo stesso make-up orchestrale degli Hurts, “Draft” goticheggia spavalda in 4/4 come solo gli Elusive sapevano fare, “Mirrors” (il brano migliore del lotto) sfodera roboanti aperture stadium-rock che gli U2 più megalomani potrebbero aver dimenticato in un cassetto, “Uncut” plagia con smisurato candore i Cure del periodo “Wish”, senza per questo rendersi antipatica.
Anche i brani restanti comunque conservano un loro discreto charme e testimoniano un gran bel lavoro sui suoni - imperniato sull’alchimia elettroniche/chitarre, magistralmente dosata da Luca 'Vicio' Vicini (Subsonica) in cabina di regia - che compensa a suo modo un companatico lirico piuttosto ripetitivo.
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