Leech O' Jelly, Busy Nani, Frank Co' Sigar, Don Vito Jangymeeno, Bobby Cal-V, Tony Di Pietra, Silvio "Brrr" Loose Coney, Michael Sin Donutz, Sal Vo' Lime, Julio Andre Yachtty, Marcelo Del U-3. Nickname che suonano familiari. Pure troppo. Ricordano le storiacce di questo Paese, decenni di malaffare e intrallazzi. È la Mani Pulite Crew al completo, ironica nell'attitudine quanto amara nel descrivere con fare cronachistico passato, presente e pure futuro dell'Italia dei furbi. Gangsta rap in doppiopetto, “Dagli anni Ottanta piscine di champagne e avanti di troie in tanga, party con la bamba”. Palazzinari e ministri, imprenditori e presidenti del Consiglio con storie da hustler & pimp da fare invidia ai più fantasiosi album di mafioso rap, da “Only Built 4 Cuban Linx” in su.
Tecnicamente quelli di MP non sono dei geni, e credo non ci sia nemmeno la pretesa. Perché a fare il grosso del lavoro è l'immaginario, un tuffo nel mondo dei criminali istituzionali, con liriche drammaticamente divertenti intervallate da estratti di interventi dei (quasi) omonimi personaggi reali e spezzoni di TG, giusto per far capire che le differenze fra l'iperbolica descrizione in rima e la realtà non sono poi così marcate. "Mai stati arrestati, per fortuna c'è il riesame, mi rivolgo alla giuria: niente da dichiarare". È la dura vita dei piani alti, roba così hardcore che a confronto quelle degli N.W.A. erano favolette della buonanotte. Quasi quarant'anni di storia di una Repubblica di nani e ballerine si srotolano su un tappeto musicale vario, da beat southern ad altri più classici. E alla fine la conclusione è una sola: quelli di Mani Pulite sono ancora a piede libero. E l'Italia trema.
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