Tempus fugit: veloci sgroppate soniche in salsa post-hardcore per diciotto minuti di sè
Provincia sudaticcia estiva, vacanze scolastiche del liceo, prime sigarette e primi tentativi di diventare un musicista fallito; ai tempi ancora non lo sapevo, e nel frattempo fumavo. Finisce che un pomeriggio si finisce a casa del secondo chitarrista a frugare tra i dischi del fratello più grande, che tanto ormai era fuori casa. e spunta fuori un vecchio vinile di inizio anni ottanta, uno dei primi due della storia dei D.R.I.. Hardcore tiratissimo, ai tempi veloce da sembrarmi vorace, diciassette minuti, ventiduecanzoniventidue. devo ammetterlo, da allora non li ho quasi più riascoltati, ma l’esperienza mi è rimasta impressa.
Veloce fast forward, anno duemilatredici, Milano, vacanze di natale e un gruppo da recensire con quattordici tracce in diciotttominuti. “Ci risiamo”, ho pensato, premendo play. E invece no, forse. Perchè il tempo è passato (anche per i D.R.I., ormai paladini crossover), dall’hc siamo ormai passati al post e i riferimenti di questa band potrebbero esser pescati anche tra quelli delle band che ci hanno fatto sudare nell’anno appena passato, Fine Before You Came e Gazebo Penguins per dire, riferimenti magari come Shellac, Young Widows, Fugazi, Jesus Lizard, tanto per fare dei nomoni.
E i guaglioni, perchè di giovanissimi napoletani si parla, almeno a livello sonico, la lezione sembrano averla imparata abbastanza in fretta, dalla sicurezza con cui snocciolano stop&go, variazioni ritmiche, interessanti melodie e dissonanze, mentre i secondi scorrono. E mentre i secondi corrono, la tensione e l’interesse non calano mai, resti aggrappato alle cuffie per scoprire la prossima evoluzione in un continuo countdown verso la canzone successiva.
Avendo optato per un minutaggio così scarno, le liriche del terzetto sono unicamente pennellate ad abbozzare mondi, sensazioni, stati d'animo, portando all’estremo il concetto di brevitas ed utilizzando il titolo a supporto del testo. Liriche scarne che prendono l'intimità, la scartavetrano sul mondo circostante per poi urlare il disagio dello scontro con toni taglienti, sarcastici, irriverenti ma perchè sofferti (se ti tagli, un vaffanculo è il minimo).
Certo, rischiare di più con testi più lunghi, raccontando storie, dettagliando ed andando oltre la semplice enunciazione, dando alla parte musicale un altro respiro, sarebbe magari il passo in più. Ma, per ora, questi piccoli passi non sono incerti e l'orma resta segnata. Non so se si tratti di eiaculazione precoce o di un vero e proprio amplesso scandito da quattordici penetrazioni. Nel dubbio, io lo riascolto ancora e ancora.
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La recensione SALE di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-01-09 00:00:00
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