Un disco di discreto livello, che piacerà un sacco ai fans storici.
Fausto Rossi è stato una delle punte di diamante della new wave italiana, uno di quegli artisti che, tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80, ha messo a frutto la lezione bowiana in maniera personale. A differenza di quanto successo a Garbo o ai Matia Bazar, il vero successo, benché agognato e meritato, non è mai arrivato, neppure con potenziali hit come “Hotel Plaza”. Come saprete benissimo, il Nostro a suo tempo ha lasciato sia la natia Sacile che l’adottiva Milano, per ritirarsi sulle alture della Lombardia occidentale, e si è concesso due lunghe pause dall’attività discografica (1985-1992 e 1997-2009). “Blank Times”, terzo capitolo della sua terza vita discografica, è un album rude e minimale, basato sulla strumentazione base del rock, chitarra, spesso acustica o con un filino appena di overdrive, basso, batteria, talora un refolo di Hammond. Cantato a volte in italiano, a volte in inglese, fa riemergere le ispirazioni di sempre: il buon vecchio Bowie, attraverso il quale è filtrata la lezione di Dylan, Lou Reed e i Velvet Underground, i Television di Tom Verlaine. Si fa sentire anche l’influenza delle esperienze dal vivo con i Massimo Volume, che porta a un certo utilizzo delle spoken words. L’atmosfera è notturna, lo stato d’animo ripiegato su se stesso, ma non dolente: meditativo, piuttosto. Nonostante una scrittura, anche testuale, più diretta che in passato, l’album non è memorabile. Eppure possiede una sua rude grazia e un’intensità innegabili. Direi un album di discreto livello, che ha tutto per piacere un sacco agli accaniti fans storici (che difatti hanno prodotto recensioni entusiaste), ma nulla per riaccendere l’attenzione su un grande autore del nostro passato. Un disco che si ascolta e si riascolta volentieri, ma che non invoglia al riascolto. La riprova? È uscito un anno fa, a giugno 2012. Ve ne eravate accorti?
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La recensione Blank Times di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-01-27 00:00:00
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