Da Sanremo alla musica colta di “Un altro me” il passo non è stato per nulla breve. Eppure eccoli qui gli Equ, alle prese un nuovo corso, senza dubbio più adatto alle loro corde.
No, davvero, non è per snobismo. Se nella settimana consacrata al Festival di Sanremo uno sigilla radio e tv onde evitare il danneggiamento irreversibile della propria psiche è solamente per un istinto di autodifesa. E anche per non ritrovarsi all’improvviso spocchiosi e prevenuti più del dovuto. Esempio: gli Equ occuparono per una manciata di minuti il palco del teatro Ariston nel 2005, tirando fuori dal loro repertorio una canzone (“L’idea”) dimenticabile almeno quanto una dichiarazione di Capezzone inserita nel mezzo di un pastone del Tg1. Ecco, se il recensore di turno in quei giorni avesse seguito quella performance e oggi si trovasse ad ascoltare “Un altro me” avrebbe seriamente corso il rischio di liquidare il nuovo lavoro della band con sufficienza, al grido di “Ah sì, quelli di Sanremo…”.
Che poi è un rischio risibile, diciamocelo. Perché a un certo punto dovremmo disconoscere un passato ormai chiuso in un angolo e un presente senza nulla di scontato, a prescindere da certi trascorsi nella città dei fiori. E non si spiegherebbe il motivo per il quale Gabriele Graziani e compagni abbiano deciso di intraprendere un viaggio tra musica colta e pop d’autore, abbellirlo di testi mai lasciati al caso (ai quali ha collaborato Francesco Gazzè, il fratello di Max) e arrivare a destinazione sulle ali di un disco teatrale, affascinante, poetico. Il tutto a virare attorno a un concept album basato sulla storia di un pittore ritrattista costretto a tirare a campare dietro un bancone di un bar. Sì, è vero: al primo impatto la digestione del cd potrebbe avventurarsi in un percorso complicato, ma come rimanere indifferenti di fronte all’incalzare classicheggiante della title track, di “Verso casa” o de “L’immaginario”? Atmosfere oniriche (avanguardistiche?) che fanno il paio con la presenza discreta del David Sylvian post Japan (“Il quadro rosso”), con le sfuriate jazzistiche de “L’inventario” e quelle cantautorali (“Eccetera eccetera”, testo di Alessandro Bergonzoni, sembra un pezzo rubato al già menzionato Max Gazzè).
Facile dedurre che lo spettro nel quale si muove “Un altro me” risulti piuttosto ampio e paradossalmente coerente. Merito di uno sperimentalismo non fine a se stesso, in grado di trovare la sua ragione d’essere anche in uno spettacolo dal vivo – guarda caso – più adatto ai teatri che non ai club.
---
La recensione UN ALTRO ME di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-04-08 00:00:00
COMMENTI (1)
Grandi EQU!!!!!