Pensavo di aver sbagliato a leggere la data di uscita. Perché anche se “Accussì” risulta pubblicato nel 2012, i suoni sembrano quelli di vent’anni prima. E sì, gli anni Novanta sono stati fantastici, ma quell’approccio un po’ impacciato al rap del periodo delle posse risulta decisamente fuori tempo massimo se continua a permanere quando il 99,2% della popolazione italiano manco sa più cosa si intende con il termine "posse". Vent’anni fa, almeno, la percentuale si attestava a occhio e croce intorno al 96,8%.
Addirittura, ascoltando “Accussì”, mi è venuto da riesumare il termine “rappamuffin”, con cui all’epoca si indicava di tanto in tanto quell’ibrido fra rap e ragga. E insomma, si trattava di un periodo di passaggio che allora si poteva accogliere con curiosità e persino entusiasmo. Ma ormai è passato. Da un bel po’.
Pezzi come “Dammi la Forza”, “Credo che” e “Tà Maritari” suonano decisamente troppo, troppo e ancora troppo poco attuali. Anche perché, più che un senso di revival, il flow datato, i baby scratch e quei bassi da sala prove nello scantinato trasudano ingenuità. La seconda parte dell’album vira maggiormente verso sonorità reggae, e anche in questo caso siamo sempre fermi alla metà degli anni Novanta, nonostante la presenza di alcune buone strumentali come quella di “Guadda Guadda!”.
Insomma, se è davvero accussì, allora non ci siamo proprio.
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