Qui fa caldo. Sto morendo di caldo. Fatico quasi a scrivere; le mani s’incollano letteralmente alla tastiera. Sto pensando a un sacco di cose. Al thè freddo, più di tutto. Lo bevi e ti disseti. Guardando fuori dalla finestra si vedono chiari gli effetti della canicola che sta sciogliendo l’asfalto. I vapori si alzano e la strada sembra bagnarsi. La vita, in questo istante, è filtrata dall’afa. E non è sempre un male. Almeno da un punto di vista visivo. Sembra di vivere in una pentola a pressione. “Quiet volcanoes” dei Lule Kaine è un disco, anzi, è il disco che dà significato ai riflessi di afa che sfumano i contorni di ciò che i sensi percepiscono. Otto pezzi. Elettronica. Psichedelia. Ambient. Drone. Quell’essere colonna sonora senza essere per davvero una colonna sonora. Un album completamente strumentale, arrivato a cinque anni di distanza dall’ultima produzione firmata Lule Kaine (“Radiations from futurist furniture”). Lule Kaine che, per questa nuova occasione, si presentano in formazione a due (Luigi Pugliano e Alessandro Ripandelli; terzo cambio di line up in totale) facendo di necessità virtù. Che cosa va e cosa non va in “Quiet volcanoes”? Prima cosa va.
L’atmosfera. E’ senza dubbio la parola chiave. Un disco come questo deve essere necessariamente atmosferico. Deve saper creare un paesaggio emotivo in grado di trasmetterti qualcosa. Sensazioni, immagini; magari qualche idea. Missione compiuta? Sicuramente sì. Da grande fan dei Mogwai quale io sono, non ho potuto fare a meno di pensare a “Les revenants”. Insomma, quel disco, che è una vera colonna sonora, mi è piaciuto per gli stessi motivi per cui è riuscito a piacermi questo. Il mix di elettronica e psichedelia poi, nello specifico funziona alla grande. Pollice su per la chitarra, dosata con estremo gusto e strumento principe per la definizione della suddetta atmosfera. Le trame sonore che Luigi e Alessandro sono riusciti a tessere solleticano l’immaginazione quanto basta a perdercisi. E perdersi in un sound è sempre un grandissimo piacere. Le ottime “Quasi” (materiale da “Earth division”) e “La programma 101”, così come “Solid ground” e “Awaking”… Tutte ventate di gelo in un mare rovente. Paralizzano i sensi. Tra l’altro, azzeccata in pieno la copertina, che credo riassuma alla perfezione l’album: il lavoro di un duo, colorato solo all’apparenza, ma dal cuore algido; bellezza indefinita e traslucida.
Ora, detto che cosa va, passiamo a cosa non va.
…
Fa caldo.
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