Ascoltare i Temple Of Venus è un po’ come essere teletrasportati nei solitamente disprezzati anni ‘80 e ricordarsi che, contrariamente a quanto cantava un tal Manuel Agnelli, qualcuno ne è uscito vivo. E che merita a tutt’oggi pieno rispetto.
Mi riferisco in primis, per debolezza personale, ai Cure ma è doveroso aggiungere Siouxsie & the Banshees, Echo & the Bunnymen, U2, Joy Division e Simple Minds: gruppi che sicuramente hanno monopolizzato i pomeriggi post-adolescenziali e oltre di questi tre bolognesi che non fatichiamo ad immaginarci - sbagliando - nerovestiti, illividiti, con anfibi unghie-nere e eyeliner. Dopo due album licenziati dalla torinese Toast Records, i Temple Of Venus inseguono un altro contratto, forti dei nuovi sette brani contenuti in questo advanced sempre paurosamente in bilico tra i modelli succitati, con melodie nebbiose e introverse, semplici ma mai banali, chitarre ricche di chorus e una voce che vanta un’estensione non così comune. Ottimi pezzi che dimostrano una spiccata naturalezza nella difficile arte dell’arrangiamento, un buon gusto nella scelta degli equilibri tra gli strumenti e naturalmente una navigata dimestichezza con gli attrezzi del mestiere. Mosso quindi dall’esperienza, dalla sincera e disinteressata passione e dalla competenza, il terzetto merita di essere qualcosa di più di un mausoleo della new-wave britannica appannaggio di attempati nostalgici ma siamo tutti ben consci della logica della mercificazione culturale che soffoca tutto ciò che non ha mercato.
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La recensione promo ep di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2002-10-01 00:00:00
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