Una lunga e contorta improvvisazione che si addentra nei territori più oscuri del post rock.
Fascino è una parola ingannevole. Nel suo senso etimologico, ha a che fare con l'attrazione quanto con il mormorio, la calunnia, le voci che nei corridoi delle case abbandonate si rincorrono come vecchi amanti allo scopo di dipingere l'affresco malato e maestoso delle cattiverie sussurrate all'orecchio, che tessono trappole languide e mortali a chi si lascia irretire. Per questo, nell'approccio all'ascolto di “Ombre imbellettate” dei machigiani Il Convento, prima ancora di essere sicura che si tratti di un disco propriamente bello, il primo termine che mi viene in mente è per l'appunto:
fascino.
È nella voce riverberata che predica versi irrequieti con sovraincisioni solenni, in una lunga e contorta improvvisazione che si addentra nei territori più oscuri del post rock. E' nelle divagazioni evocative di un basso che non conosce quiete o riposo e che padroneggia perfettamente il linguaggio contaminato del jazz, spiccando tra gli altri strumenti. Non posso far altro che ascoltare, aggrovigliata ai miei brividi. Al misto di ammirazione che provo per l'indubbio valore del progetto, si aggiunge presto la volontà di fuggire, di emergere dal groviglio asfissiante della matassa sonora, di cercare in maniera disordinata e convulsa il tasto “stop”, di tornare finalmente alla luce, e alla vita.
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La recensione Ombre Imbellettate di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-03-27 00:00:00
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