A metà tra la psichedelia e le percussioni afro. Sanno suonare, ma manca ancora qualcosa
I Duna, nel loro primo disco omonimo, riescono ad esprimere contemporaneamente una buona aggressività e un'animo più rilassato e leggero. Siamo in zona afro, con percussioni che sanno essere incisive ma anche cullarti; aggiungete una chitarra sporca e grezza, così distante dai ritmi calmi in sottofondo, e avrete la psichedelia. Brani come "J.Livingstone", "Tekno" e "La danza dello schiavo Conan" ti fanno immaginare i Doors, il deserto nei dintorni di Los Angeles, e altri tipi di visioni. La chitarra è penetrante, molto più rock'n'roll di quanto avevi pensato, riesce a dare un taglio più incisivo al tutto tutto, è ipnotica, ripetitiva, e l'apice lo raggiunge in El Sombrero (3 minuti quasi sempre sullo stesso riff). Il brani sono affascinanti, la band sa suonare, non c'è dubbio. Resta una sensazione di coito interrotto, quella di un crescendo che non porta ad una direzione chiara e precisa. Manca il colpo finale, l'urlo, l'eiaculazione definitiva. La voce potrebbe essere d'aiuto a condurti meglio nella storia ("Nell'aldilà", l'unica cantata, è la più riuscita del lotto) o forse è solo questione di esperienza, raccontare per immagini non è mai facile. Sono una band coraggiosa, brava tecnicamente, hanno sicuramente un futuro interessante davanti a loro.
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La recensione Duna di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-03-04 00:00:00
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