Una chitarra, un tamburello, un’armonica e un kazoo. Una musicalità fresca, leggera e scanzonata. Testi e parole che ghignano e se la ridono, dissacrando e sbeffeggiando su tutto ciò che ci circonda. Una voce divertente e divertita senza strabiliare per particolare dote o talento. Francesco Vannini si presenta a suo nome ma inizialmente ti sembra qualcun altro, l'Edoardo Bennato di "Sono solo canzonette" o "Nel paese dei balocchi". Album sincero fino in fondo, di sicuro, ma di fronte a parecchi paragoni non saprebbe reggere il confronto.
Mi spiego meglio: sentito e piacevole, questo lavoro muove inevitabili paragoni. E allora sarà sempre la solita minestra, direte voi. E’ quasi certo, direi io, tuttavia le liriche di Vannini valgono per contenuti e riflessioni. "Dinecessitàvirtù" segue un filo rosso che lega tutte le tracce. L’analisi di tipo sociologico-esistenzialista del cantautore riflette sulla mediocrità di un certo linguaggio politicante vuoto, inconsistente e pericoloso ma a cui siamo da tempo abituati ed assuefatti ("Bomboletta spray"); sottolinea la drammaticità della televisione spazzatura e l’ansia di apparire senza voler prima di tutto essere ("Spenta la tv", "Tutto fa audience"); descrive l’orrore a cui siamo quotidianamente abituati perché certe notizie fanno più presa e si vendono meglio della bellezza che ci manca ("Il grande varietà", di rimando al testo "Cattiva" di Samuele Bersani); ironizza sulle truffe e i raggiri sporchi di cui questo paese si nutre ("Mastro Lindo"); celebra, in conclusione, la volontà di rimanere autentici alimentando i propri sogni e rincorrendo le proprie aspirazioni ("Dinecessitàvirtù").
Faccio il punto allora. Cosa significa essere un cantautore che fa di necessità virtù? Non un improvvisatore, né tantomeno un affabulatore, il cantautore virtuoso impara un mestiere serio, poeticando in musica cose sensate e credibili in un mondo insensato e non credibile. Lo stesso mondo che Vannini descrive nel disco con abilità, ma su cui sta affinando la sua virtù. Da ricercare però nella propria essenza e non nell’altrui, perché solo così fanno i poeti, i veri musicisti e i cantautori di mestiere.
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