Cesare Basile
s_t 2012 - Rock, Punk, Folk

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Racconti di una Sicilia vicina e lontana. Intensi, come un vero amore.

Ricordo un giorno, guardai un servizio di Mario Soldati su Castelvolturno. Le bufale, la pianura, pochi alfabetizzati e tanta campagna. La purezza negli occhi della persone, l'onta dell'attuale squallore urbano ancora lontana, tanta dignità.
Gli anni passano, tra i fotogrammi di un video dell'Istituto Luce, le metafore, i ricordi. Castelvolturno come Castelvetrano, la camorra come la mafia, riflesse in una sovrapposizione tra passato e presente, come una filigrana che filtra bufalari e pastori di un tempo, gli investimenti edilizi e la finanza di oggi. Nelle stesse ombre dell'omertà, nell'orrore nascosto tra le pieghe dell'aneddotica.

La tristezza, annacquata nella disillusione del presente, di un amaro destino. E' questo l'universo dell'ottavo, omonimo, album di Cesare Basile. Omonimia che non è casuale, segna in modo identitario questo lavoro sin dal titolo, mostrando un'anima pulsante e sorprendentemente priva di barriere. Narrazioni che si snodano nel racconto, seguendo le pieghe della propria terra, riverberata da un dialetto siciliano sempre protagonista, un linguaggio meraviglioso, interpretato sempre nella forma più congeniale, quella orgogliosa e dignitosa. Forte.
Come nei racconti di Rosa Balistreri, come nelle storie di Camilleri. Parole forti e nette, cornici di una terra meravigliosa. Spesso crudele, come in “Minne Spartuti”, storia di una prostituta messa incinta da un nobile, uccisa brutalmente, e con essa la descrizione di una Sicilia feudale, padroni e nobili, il dominio di un latifondo come potere assoluto di genti e città. Luoghi che cambiano, che modificano accenti, doloroso bagaglio della sopravvivenza, di una madre terra da lasciare, cicatrici dell'emigrazione. Suoni di pianoforte che scorrono veloci, quasi ad immaginare un viaggio del tempo da quella Sicilia all'Italia dei giorni nostri, si passa al presente.

Un finale che è poesia in movimento, come nei flashback di “Storie di mezzi favori”, corollario dell'intera opera, atto di fede verso quella che è, nel bene e nel male, la propria genitrice. La stessa di Dimartino, Niccolò Carnesi, Carmen Consoli e Colapesce, una Sicilia che qui viene raccontata con rabbia ed amore. Cantava Sergio Bruni in “Carmela”: “Si ll' ammore è 'o cuntrario d'a morte/e tu 'o ssaje/si dimane è surtanto speranza/e tu 'o ssaje”, Cesare Basile lo sa bene, guardando dall'alto. Ieri, come oggi.

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