I rapporti di parentela li forniscono loro: Zen Circus, Arctic Monkeys, Clash (quelli di “London calling” però)... Nomi sufficienti per iniziare a buttare giù le coordinate di una di quelle band che ti ritrovi il fine settimana a grattugiare rumori sparsi sul palco di un centro sociale o alla festa di piazza del 25 aprile, che se sono lì è tutto merito dall’assessore illuminato di turno. Arrivano, attaccano il jack, li ascolti con la tua birretta d’ordinanza in mano e li dimentichi con comodo, senza fretta.
L’istinto di liquidare il Bicchiere Mezzo Pieno sulla scorta di luoghi comuni ormai consolidati è forte ma non ne vale la pena, tanto questi cinque ragazzi ti conquistano al primo ascolto. Con l’ironia, la teatralità, il sarcasmo, l’intelligenza. Parti con “Space metropoliz” e le chiappe cominciano a muoversi, l’urlo di battaglia è conquistare la luna, stando ben attenti a lasciare a casa la spocchia dei Litfiba. Poi passi alla “Canzone di storta”, ovvero la diversità come arma di resistenza, ad accettarla può aiutare anche qualche botta di psichedelia (storta pure quella). “La pillola della presa a bene” può definirsi un colpo di genio, una proposta (geniale, appunto) per superare gli stantii luoghi comuni della cosiddetta scena alternativa con una bella botta di depressione, unico rimedio per uscire fuori dal tun-nel-nel-nel. “Non chiedermi ti prego” rappresenta la divertente (e divertita) presa di posizione di chi non vuole e non può farsi etichettare, tanto per chiarire che il rock è un linguaggio universale e chiuderlo nel ghetto delle categorie è un vizio da vecchi tromboni imbolsiti. La moderata malinconia di “Estate finita” disegna la circolarità della vita post adolescenziale prima che la linea d’ombra, con la sua mannaia, metta in ordine i tasselli della vita. Il giro di giostra termina con “Cabaret”, ovvero le paure e le speranze di chi crede nell’arte e finisce il proprio show con una barzelletta, perché la legge dello spettacolo impone di suscitare simpatia con ogni mezzo.
Sei episodi per un mini-album leggero solo all’apparenza, divertenti e rocamboleschi, come da definizione degli stessi componenti del Bicchiere Mezzo Pieno. E passare sopra ai difficili equilibri vocali di David e a certe rullate che sembrano arrivare più da qualche fustino del Dash che dalla pelli di una batteria (e non certo per colpa di chi ci picchia sopra) diventa più semplice, tanto si può dimenticare tutto quando ci si diverte senza scadere nel banale.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.