Zirkus Der Zeit. Il Circo Del Tempo. Un nome così impegnativo non può che trascinarsi dietro una moltitudine di riferimenti artistici (e no): letteratura, cinema, fumetti, arti visive, fisica e metafisica, retrofuturismo e post-modernità. E la musica? Esattamente quella che potreste aspettarvi da un nome così: un turbinio di decibel e segmentazioni armoniche, un mosaico spiraleggiante di sonorità “elettrometalliche”, vecchie e nuove, che si contendono il proscenio di un circo sonico, appunto, atemporale e onnicomprensivo.
L’omonimo debutto del duo ligure dispensa sette morsi sonori che azzanneranno i vostri amplificatori e il bon-ton orchestrale così come lo conoscete. Sette schegge impazzite che crocifiggono i consueti schemi di composizione/arrangiamento senza ricorrere a particolari virtuosismi o artifizi accademici, ma semplicemente violentando il prog dei grandi padri (King Crimson su tutti) a suon di rasoiate metal/industrial, alchimie elettroniche e un’istintiva sperimentazione che potrebbe lasciare tracce visibili sul prossimo futuro.
Le darkeggianti elucubrazioni vocali (ed esistenziali) di Zeffira (tra Siouxsie e Cristina Scabbia) si muovono in continua sospensione sulle alienanti scenografie strumentali di Lorenzo Vite come un ragno sopra la propria ragnatela: brani come “Little Creature”, “Hexe”, “Lew”, “The Sky has been moved up” impastano le visionarie implosioni dei Tool con le anarchiche traiettorie dei Primus e le suggestioni luciferine degli Sleepytime Gorilla Museum, sempre e comunque lungo la linea invisibile di sghembe voglie sinfoniche: l’onomatopeica inquietudine della suite “The puppets waltz” – 6.20 minuti di angoscia viaggiante su glockenspiel – seguita dal mortifero affresco finale di “Tree’s speech” (per altri 6.17 minuti) meriterebbero da sole una recensione intera.
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