Quando si parla di post rock, vengono sempre in mente le miriadi di band fotocopia, con i loro arpeggi e poi i crescendo distorti a tramutare in noia quella che anni fa era emozione pura. Poi ci sono i Sixth Minor, napoletani, attivi dal 2007 e facenti parte del collettivo Megaphone Records dal 2012, che nel corrente anno pubblicano "Wireframe", il loro primo disco e primo centro. Il post rock è indiscutibilmente una delle loro influenze più forti, aggiornato, mediato ed arricchito da una ricerca sonora fuori dal comune, contaminato da una forte dose di elettronica, dubstep, glitch e ambient. Il risultato è superiore alle aspettative e ci consegna 8 pezzi a fuoco, senza alcun riempitivo.
Dentro ci sono episodi di industrial rock come "Hexagone", un delirio sparato tra i Trans Am e i Nine Inch Nails più cattivi, oppure composizioni come l'emozionante "Frozen" e la più tirata "Blackwood", in bilico tra Gallops e Aucan. Dentro questo magma incandescente, trovano spazio anche momenti dilatati, nero piombo, come la copertina di questo album. Ne è un ottimo esempio la sofferta "Last day on Earth".
"Wireframe" è un lavoro complesso, da ascoltare come se il tasto "skip" non esistesse, da perdercisi dentro, immaginando un futuro distopico, fumoso e glaciale, rabbioso e malinconico, non troppo distante da quello che ci aspetta in capo a qualche anno. Un'ottima via per evolvere il post-rock, per slegarlo dalla sua formula consueta e mischiarlo con l'elettronica giusta. Un debutto consigliatissimo.
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