Sputato e attaccato sotto al banco il pur pregevole bubblegum liceale delle prime prove, il power-pop dei Miss Chain & the Broken Heels si ripresenta in una nuova veste, più scura, più adulta. Dominato dal vocione (in certi momenti ricorda persino Linda Perry delle 4 Non Blondes, al netto per fortuna di cappello a cilindro e scarponi militari) di Astrid Dante, il sound della formazione veneta svela in "The dawn" il suo lato agrodolce, autunnale, che si serve della melodia e non si prostra ad essa.
In alcuni casi ("Calcutta", "It's gone") l'esperimento riesce così bene da far superare all'orecchio la classica (e riduttiva) distinzione maggiore-minore in favore di una successione di strofa-riff-hook davvero irresistibile. In altri, è soprattutto la nuova consapevolezza di sè, la maturità se vogliamo, di Astrid a tenere banco, e a chiederci di seguirla lungo i suoi sentieri, più o meno scoscesi, come in quella sorta di figlioccia crepuscolare di "I saw her standing there" che è "There's a Ghost".
Non mancano poi gli episodi più strettamente power-pop, ad esempio "Don't look back", col suo organetto scanzonato e il ritornello monkeesiano, capace poi di ricollegarsi al mood del disco con grande puntualità; o "Little boy", praticamente una b-side di quel Paul Collins con cui Miss Chain e compagni hanno condiviso più volte il palco.
Nota di merito per la registrazione (in consolle Pierluigi Ballarin dei The R's), in particolare per la resa delle chitarre (che già di loro portavano in dote un riff azzeccato dietro l'altro) e delle tastiere, molto curate.
In definitiva, se non si fosse capito: un gran bel disco. Dovessi definirlo in poche parole: il power-pop delle foglie che cadono.
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