Anomalia italica nella costante ricerca di un’ amalgama sonora ben celata, per certi versi, alle luci della ribalta, l’ora quartetto pistoiese (con l’entrata alla seconda chitarra di Lorenzo Cappelli dei Lola’s Dead) Ka Mate Ka Ora giunge al terzo traguardo, quello della maturità verrebbe da dire in modo scontato, se non lo fosse davvero. Alleggerito l’impasto dilatato e distorto dei lavori precedenti, Venturini(s) e soci vanno a posare le loro architetture slow-core su fondamenta che incanalano la primigenia scuola shoegaze (My Bloody Valentine, Slowdive, in primis) mantenendo intatta, nel loro percorso formativo, tutta la riflessiva e triste sofferenza dei numi tutelari Codeine e Low. Aperture straordinarie (“Flowers”), fini citazionismi (“When i see the sun…” “Birdy”), escoriazioni gaze-wave (“Last Words”, “Daisies Wine”) sono solo alcuni passaggi che svuotano gli ampi spazi post-rock del passato e lasciano precipitare in un abisso di malinconica psichedelica. Placidi lidi (“Jasmine’s Lullaby”) si alternano a marziali crescite d’atmosfera e dolore - qualcuno ha detto God Machine? - (“The Funeral March of The Whales”, “Mistake Song”), dimostrando quanta esperienza sia stata unita e sintetizzata.
Ciò che ci viene consegnato in conclusione è un album contestualmente perfetto e ricco di suggestioni. Caso unico in Italia e veri maestri in ciò che fanno, ai Ai Ka Mate Ka Ora va il grande plauso di aver continuato con modestia e incessante passione sulla propria strada, maturando con dedizione il proprio ideale di musica. Li lasciamo giacere a loro agio nell’ombra dei nostri animi. Che il sole possa splendere presto su di loro.
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