La cosa che a me fa impazzire di Johnny Mox è la naturalezza che sembra avere. Di musicisti bravi che sanno fare cose diverse ne esistono abbastanza, ma spesso il loro rischio è di cadere nel virtuosismo fine a se stesso. Tutto questo saper spaziare si trasforma in un eseguire alla perfezione il compitino di turno e portare a casa le lodi e gli applausi di gente che butterà il disco in cantina dopo due ascolti. Lui invece è diverso, saltella da una parte all'altra ma ci mette qualcosa di strettamente suo, tu ci puoi appiccicare tutte le etichette che ti vengono in mente ma ci sarà sempre quella nota particolare che sfugge alla definizione, e che fa sì che quel disco non avrebbe potuto farlo un'altra persona. Mi dà la sensazione di uno che se dovessi domandargli perché ha scelto di farlo così non mi attaccherebbe il pippone sull'esplorare vari territori musicali, sulla crescita artistica eccetera eccetera, ma mi risponderebbe che lo ha fatto così perché così se lo sentiva. Easy.
Questo ep era uscito un po' di mesi fa, e adesso sta girando insieme alla ristampa di "We=Trouble" come allegato al vinile. Johnny si è spogliato dei panni del reverendo e ha imbracciato la chitarra acustica per un disco piccolo, giusto una manciata di minuti, che è un po' come se fosse una sua personalissima versione di "Anima Latina". E' caldo, accogliente, familiare, dalle voci di bambini di "Moon Boots" alla solarità di "Black Bowels (Fox Hunters)". E' un disco folk, ma anche questa volta con delle sorprese spiazzanti, una (bellissima) traccia di apertura che è un po' quello che sarebbe successo se Morricone avesse lavorato con Sergio Leone fatto di acido.
Non lo so, forse sono io che a forza di ascoltarlo sono diventata troppo di parte, ma mi sembra davvero che ci sia dell'unico nelle cose che fa.
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