I tre pezzi dei Kali potrebbero davvero riassumersi con il titolo dell'ep, "Darkroom Session": tutto è buio, atmosfere, suoni, parole. Ascoltando il primo brano, "Liberami", mi è saltata alla mente l'opera d'arte di Goya "Il sonno della ragione genera mostri", forse per l'ambiente scuro, cupo, mistico. Il pezzo è un'invocazione sonora, si parla di insonnia generata dall'ossessione, dalla quale la rossissima cantante vuole liberarsi, per l'appunto. La struttura musicale è buona, i primi accordi di chitarra elettrica e le prime note dei synth sono convincenti, fino a che non entrano in scena le parole e tutto cade; si entra in un momento trascinato, un po' trash di questo ep, inizi a chiederti cos'è che ha spezzato la magia: "Non capisco quel pudore / Fottila in pietà" potrebbe essere una risposta, e la trovi in "Smalto Rosso", brano che vorrebbe mostrare il lato oscuro dell'incontro sessuale, raccontato con parole lascive. Poi c'è "Radioclima" , cover di Garbo, il pezzo che risulta più dinamico dei precedenti, mantenendosi però sulla stessa linea dark che caratterizza il tutto e siamo già alla fine. Il ritmo c'è, i suoni sono minimali e ruvidi, completamente diversi dal precedente ep "Canzonette per narcisi isterici", ma la modulazione vocale andrebbe regolata (a tratti troppo artificiosa) e i testi lasciano alquanto a desiderare.
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